Questa è la storia di dieci piccoli indiani, riferita ai dieci politici italiani di professione che dovevano fondare la Seconda Repubblica e invece affondarono, con le loro mani o con quelle del loro partito.
È in sintesi la storia politica di questi anni attraverso dieci suicidi, diretti o provocati, modulata sul celebre romanzo di Agatha Christie... E poi non rimase nessuno, un giallo che prendeva lo spunto da una filastrocca americana dell’Ottocento, Ten little niggers, Dieci piccoli negri. Il romanzo racconta di dieci persone invitate a soggiornare nell’Isola Negra ed eliminate una dopo l’altra. Una storia accompagnata da un ritornello che si ripeteva ad ogni eliminazione: solo nove ne restar, solo otto ne restar... fino all’ultimo che si conclude con «e nessuno ne restò».
Ma rivediamo in sequenza i dieci piccoli indiani della nostra Repubblica.
In principio fu Mariotto Segni, che inventò la carrozzeria della nuova Repubblica, la bicicletta detta bipolarismo dell’alternanza; ma poi non seppe andarci su, non pedalò verso uno dei due poli e così cadde dalla bicicletta da fermo. Lavorò per un sistema bipolare ma non accettò di interpretare il ruolo alternativo alla sinistra, rifiutò gli inviti a farlo e lasciò così lo spazio ad un outsider giulivo, Silvio Berlusconi. Disperso Segni, solo nove ne restar...
Salì allora sulla bici Achille Occhetto, che la ribattezzò la gioiosa macchina da guerra. Ma la macchina si inceppò, non calcolò bene le varianti del percorso, l’onda antipolitica che salì dal Paese e andò a sbattere contro l’outsider di prima, che aveva nel frattempo coalizzato altri outsider della Prima Repubblica, il missino Fini e il leghista Bossi, più ripescaggi di dc e affini che avevano capito la fine del terzismo e la necessità di schierarsi in uno dei due poli. Perduto il prode Achille, solo otto ne restar.
Provarono allora, con la noiosa macchina da guerra, Romano Prodi, un ciclista tenace e gommoso, mezzo outsider e mezzo impastato, che riuscì, aiutato dalle circostanze ambientali, giudiziarie e politiche, a spuntarla per ben due volte. Ma bucò con governi brevi e malmessi, sostituiti o saltati in corso d'opera. Il Mortadella fu affettato dai suoi stessi alleati che da premier uscente non lo ricandidarono. Imbalsamato Prodi, solo sette ne restar.
Venne la stellina di Rutelli, bello di mamma, cocco de Roma, che fu candidato contro il Berlusca, dopo un decennio di sindaco romano e ciclista. Moderato e progressista, radicale e pian pianino clericale, Rutelli fu battuto da Berlusca, eclissato con i Verdi e infilzato dal rigurgito della sinistra frustrata, che voleva tornare ad avere la guida della coalizione. Giubilato Rutelli, solo sei ne restar.
Lungo il tempo si consumò, per stadi come uno sputnik sovietico lanciato nello spazio, anche il Massimo della Sinistra, detto D’Alema. Fu bruciato per gradi, con una Bicamerale ridotta a camera ardente, poi guidando un governo usurpato ma spazzato dalle urne, quindi con le batoste avute nel suo partito e una serie di guai di ogni genere, banche, barche, scarpe, case, signorine per la sua corrente e via dicendo. Fu bruciato nella corsa al Quirinale, poi in Europa e ovunque, infine si fece spernacchiare in Puglia da Vendola. Insomma, perse lungo la strada il carisma del Migliore. Sbianchettato anche D’Alema, solo cinque ne restar.
Fu il turno del fratellastro Walter Veltroni, compagno e nemico di lui da sempre. Aveva creato tante aspettative con la sua sinistra dei Puffi, aveva fatto il sindaco di Roma riducendo la Città Eterna a una fiction, aveva spazzato via ogni sinistra, ma alla fine perse pure lui la sfida col Berlusca. Allora minacciò di andarsene in Africa, si finse scrittore, ma restò senza mestiere. Spupazzato anche Veltroni, solo quattro ne restar.
Si tentò allora con il suo clone in versione cattolico-emiliana, Dario Franceschini, venuto dalla Margherita, e pure lui sfidò il feroce Berlusca con una campagna elettorale da passeggio. Non fece in tempo a sentirsi un leader che il povero Franceschini fu spazzato via da una sconfitta e dai mal di pancia della sinistra che tornava a reclamare la guida del partito. Sgonfiato Franceschini solo tre ne restar.
E qui ci tocca passare all’altro versante, dove la stagione dei mal di pancia cominciò con Marco Follini. Fu lui il sottile precursore degli scismatici, il primo vicepremier che si mise in proprio, attaccando il Berlusca e ritenendo di essere il capofila di una lunga serie. Invece finì da solo, prima passò alla Margherita, poi ai crisantemi. Spuntato lo spillo Follini, solo due ne restar.
A ruota, dopo anni, seguì la pista il suo sodale Pier Ferdinando Casini, che non ce la fece più ad aspettare l’abdicazione del sovrano e a sentirsi ragazzo, pretese le chiavi di casa e alla fine si fece un pied à terre tutto suo. Ma restò lì, nell’azzurra terra di mezzo, come il Messaggero di una nuova dc in terra che poi non si vide. Evaporò pure Casini ed uno solo ne restò.
Quell’ultimo si chiamava Gianfranco Fini, era cresciuto all’ombra di Almirante, e da lui aveva appreso l’arte del comizio e del parlare in tv. Poi la botta di vita con la fine della Prima Repubblica, la discesa di Berlusconi, la regìa di Tatarella, l’alleanza e infine - chi l'avrebbe mai detto - il Potere. Ma il Potere unito all’Impotenza di sentirsi secondo, gli fece perdere la testa, così si mise in proprio e finì a guidare da presidente della Camera un gruppuscolo di parlamentari; quasi l’otto per mille, come l’obolo alla Chiesa.
Scemato anche Fini, nessuno dei politici di professione restò in piedi. Così sono rimasti in auge solo gli antipolitici: Berlusconi su tutti, più due tribuni della plebe, Bossi in sua difesa, e Di Pietro in sua accusa.
P.S.: Berlusconi sarà lieto di sapere che l’assassino nel giallo di Agatha Christie era un giudice.
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