I rom scendono in piazza: «Ci sentiamo italiani»

Canti, balli e slogan al corteo di Roma. Migliaia di nomadi arrivano da tutta Italia per manifestare

da Roma

Si è concluso al Villaggio globale del Foro Boario (ex mattatoio) a Roma, senza alcuna tensione o incidenti, il megacorteo organizzato ieri da rom e sinti per dire «no alla xenofobia». Alla marcia organizzata da Them Romano insieme con il gruppo Everyone, dalle organizzazioni per la tutela di diritti del popolo rom e dai comitati dei campi di Roma, secondo alcune stime, avrebbero partecipato ventimila persone, di cui la metà appunto zingari arrivati da tutta Italia.
«Siamo qui oggi contro l’apartheid - spiegava Santino Spinelli, professore universitario a Chieti, musicista e intellettuale rom - e per far capire all’Italia e agli italiani che i rom non sono nomadi, che i campi sono illegali e disumani e che ci siamo riuniti oggi per la prima volta compatti a favore dei nostri diritti».
«Gli italiani non sono razzisti, ma c’è in questo paese una disinformazione dilagante, una mistificazione- ha aggiunto Spinelli-. Si vuole far passare il campo nomadi, che è una forma di segregazione razziale, addirittura come espressione culturale, come se i rom volessero vivere in questo modo. Non è vero che l’integrazione dei rom pesa sulla tasche degli italiani, perché passa attraverso i fondi comunitari. Per i progetti di integrazione vengono stanziati fondi dell’Ue che o non sono attivati o finiscono con il finanziare progetti fasulli di pseudo associazioni di volontariato. Ai rom non arriva nulla».
Slogan e danze hanno trasformato la manifestazione in un evento folcloristico. A colorare la processione, tamburi, cori contro il razzismo, bandiere italiane, dell’ex Jugoslavia e delle associazioni di tutela dei diritti umani con in sottofondo la musica tradizionale rom.


«Sono qui da trent’anni - ha raccontato Nenad, cinquantenne ospite del campo di via di Salone - e molti di noi sono nati in Italia. Ormai anche noi siamo romani ma continuiamo a non avere nessun diritto. Non chiediamo un attico a via Veneto ma almeno un lavoro dignitoso per vivere».

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