"I romanzi? Servono solo a intrattenere, non certo a curare l’anima o la mente"

Intervista a Patrick McGrath, psichiatra e scrittore: "Chi scrive non ha soluzioni ai problemi che agitano l'uomo"

"I romanzi? Servono solo a intrattenere, non certo a curare l’anima o la mente"

Patrick McGrath sa qualcosa di te che tu ancora non sai. E puoi star certo che prima o poi ci scriverà sopra. A dispetto di quel che di lui disse il Guardian nel 2005, all’uscita del suo romanzo più acclamato, Follia (Adelphi), ovvero che quel che colpisce in questo scrittore è la sua normalità, il Nostro è tutt’altro che ordinario. Chi avrà occasione di conoscerlo alla Milanesiana - dove stasera leggerà un suo testo inedito sui Paradossi della normalità insieme a Jonathan Coe e a George Romero - si renderà conto che l’autore di Spider (Adelphi) e Trauma (Bompiani) è un binomio inedito di carisma e apertura totale e usa la prevedibilità come un bisturi. Che si sia fatto catturare dalle ossessioni umane, in particolare da quelle sentimentali che sconfinano nella follia, lo rende una preda affascinante. Che abbia conservato un’«inglesità» integrale dopo più di 50 anni negli Stati Uniti garantisce la sua psiche come incorruttibile. Aspettiamo un suo nuovo romanzo da tre anni e pare che arriverà nel 2011, quando da Bompiani uscirà il manoscritto che sta ultimando in questi giorni: Constance.

Qual è il tema stavolta?
«Due sorelle innamorate dello stesso uomo. Per documentarmi interrogo le donne che conosco sulle loro esperienze sentimentali. Mi rispondono che tutte le donne desiderano quel che hanno le altre donne. Gli uomini non sono così».

E come sono gli uomini?
«Non penso proprio che vogliano quel che hanno gli altri uomini».

E che cosa vogliono invece?
«Cose migliori. Un uomo non desidera che la moglie del suo migliore amico diventi sua moglie. Se proprio vuole una moglie, la vuole migliore di quella».

Gli uomini di questo suo nuovo romanzo sono così?
«In Constance gli uomini hanno un ruolo secondario. Con una sola eccezione: la figura di un padre, un uomo forte, decisivo, perché favorisce una delle figlie, e l’ama di più. E questo crea molta tensione».

Il suo focus è sempre stata la mente umana.
«Tutti gli scrittori sono concentrati sulla psicologia. Siamo letteralmente ossessionati da come gli esseri umani amano e odiano e raccontano bugie e cercano di fare ordine in quel caos che è l’esperienza».

Il suo però è uno sguardo da insider. Sarà perché suo padre era uno psichiatra, perché lei è cresciuto a Broadmoor, il manicomio che lui dirigeva o perché ha studiato da psichiatra...
«Oh no, non credo che uno scrittore abbia informazioni “dal di dentro”. Chi scrive fallisce se pensa “professionalmente” alle persone e alle loro motivazioni. Lavoriamo ogni giorno sui problemi umani esattamente come fanno gli psicologi, ma non abbiamo un expertise, né soluzioni».

Eppure molti sostengono di trovare «soluzioni» nei libri. La letteratura non può «curare» un uomo?
«I romanzi appartengono all’intrattenimento, non alla terapia. Si va verso un romanzo per allargare la mente, per esplorare la natura umana, ma per stare meglio serve altro».

Lei nella sua vita personale non è mai stato «aiutato» da un romanzo?
«Bella domanda. Ora sto leggendo Il disprezzo di Moravia. Non l’ho ancora finito. Ma quell’uomo che rovina il suo matrimonio per una fissazione mi sta aiutando a capire molte cose su ciò che è in grado di combinare l’animo maschile».

Follia è il romanzo con cui ha conquistato l’Italia, così come molti altri Paesi. Secondo lei, perché?
«Ci ho pensato per anni. Al centro di Follia ci sono la famiglia, la maternità, la passione sessuale. E il trattamento psichiatrico. Quando sono in Italia mi accorgo che queste ossessioni sono condivise».

Ma non sarà che in Follia, come in Trauma, lei trova una giustificazione per gli eccessi distruttivi e autodistruttivi provocati dall’amore,

gesti che, almeno in Italia, sono in costante aumento?
«Sì, è vero, i miei personaggi innamorati si permettono tutto, fino all’omicidio. Ma le mie non sono giustificazioni. Rendo solo quei gesti comprensibili».

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