Roma - I falchi, da una parte e dall’altra, minacciavano sfracelli. Invece dalla festa di Atreju arrivato un ramoscello d’ulivo, e l’ala soft dei finiani si mostra ben contenta dei segnali di pace lanciati da Silvio Berlusconi.
Dentro Futuro e Libertà si aspettavano quelle parole di fiducia nella «lealtà» degli uomini che fanno capo al presidente della Camera, spiegano i pontieri che alla vigilia hanno avuto fitti contatti con lo stato maggiore Pdl: «Il premier ci aveva fatto sapere che avrebbe evitato di fare la faccia feroce, e avrebbe aperto nei nostri confronti alla vigilia del dibattito in aula». Un modo per rendere più facile il ricompattamento parlamentare della maggioranza, quando si dovranno votare i famosi «cinque punti» su cui si impegna il governo; e per isolare le voci più bellicose, che da un lato e dall’altro della barricata fomentano una rottura che nessuno - apparentemente - può permettersi ora.
Il ministro delle Politiche europee Andrea Ronchi, ad esempio, ha subito sottolineato i «toni apprezzabili» usati dal premier, che «ha evitato qualsiasi attacco frontale nei confronti di Fini» e, anzi, ha persino arginato con fermezza la salve di fischi che al solo evocare il nome del presidente della Camera si era subito levata dalla platea di giovani ex aennini, riunita a Roma nella kermesse organizzata ogni anno da Giorgia Meloni.
Per il portavoce Fli, Benedetto Della Vedova, dietro il buonismo berlusconiano c’è invece la presa d’atto di una impossibilità: «Il premier ha capito che la strategia dei ’316’ è fallimentare, e che chi lo spingeva a comprarsi un po’ di deputati per rimpiazzarci nel voto d’aula sbagliava clamorosamente», assicura. La maggioranza «autosufficiente» senza i finiani non esiste, spiega Della Vedova: «Piuttosto sono le nostre file che si ingrosseranno ancora». La prossima settimana, assicurano da Fli, almeno un paio di parlamentari potrebbero aggiungersi alla pattuglia finiana, incluso uno tolto al Pdl. Ergo, afferma il vice capogruppo di Fli, «se Berlusconi vuole sfuggire al ricatto permanente della Lega, deve poter contare su di noi e non su quattro venduti racimolati tra Udc e gruppuscoli vari». In cambio, come ha ribadito il capogruppo Italo Bocchino, i finiani sono pronti a votare un nuovo scudo processuale per il premier, a patto che la proposta sia formulata «in modo ragionevole». Il che lascia prevedere per il futuro larghi margini per estenuanti trattative. Ma intanto, nel breve periodo, si marcia apparentemente verso un appeasement. E lo si capisce dalla rassegnazione della Lega, che ripete «meglio Fini che Casini», e anche dai toni polemici verso Fini che si levano dall’opposizione: non solo le scontate critiche di Antonio Di Pietro, che sfida il presidente della Camera a «sfiduciare» un governo «criminale» se non vuole esserne «complice»; ma anche quelle di Pierluigi Bersani, che gli chiede «coerenza e concretezza, a cominciare dal rifiuto di ogni norma che discrimini i cittadini davanti alla giustizia».
Fini, d’altra parte, non ha alcuna intenzione di pagare il prezzo di una crisi col rischio di elezioni anticipate: piuttosto, vuole guadagnare tempo.
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