I segreti di Crais, maestro dell’action thriller

«L.A. tattoo», nuovo episodio della serie noir del detective Cole, «figlio» di uno dei più celebri sceneggiatori di telefilm polizieschi

«Se mi mettessero davanti a un plotone di esecuzione e mi chiedessero di esprimere i miei ultimi desideri, mi accenderei una sigaretta e leggerei le avventure di Elvis Cole». Così qualche tempo fa si esprimeva il maestro della fantascienza Harlan Hallison mostrando la sua grande stima per il detective creato da Robert Crais che torna proprio questi giorni in azione in un romanzo intitolato L.A. tattoo (Mondadori, pagg. 330, euro 18,6), un thriller mozzafiato che esplora in maniera drammatica il passato di Cole (come già accaduto nel precedente L’ultimo detective che focalizzava la sua esperienza di militare in Vietnam) mettendolo a confronto con il cadavere di un barbone che prima di morire ha confessato di essere suo padre.
I romanzi di Crais sono «intelligenti, intuitivi, duri e avvincenti», come ha dichiarato un altro re del noir che non va mai per il sottile quando deve dare un giudizio: James Ellroy. E possiamo tranquillamente affermare che lo scrittore originario della Louisiana ha continuato a colpire direttamente al cuore i suoi lettori, in maniera continua e coerente fin dal 1987, con storie ad alto tasso di suspense in cui si mescolano generi come l’hard-boiled e il noir e dove emerge una grande abilità nell’uso dei dialoghi (sempre conditi con la giusta feroce ironia), nella descrizione delle psicologie dei personaggi e in un sapiente intercalare delle sequenze d’azione che rende la produzione dello scrittore americano molto vicina a quella dei polizieschi televisivi. Non a caso Robert Crais negli anni Ottanta è stato uno dei più prolifici sceneggiatori di serial statunitensi come Hill Street giorno e notte, Vegas, Miami Vice, Baretta, Quincy, Avvocati a Los Angeles, Twilight Zone. «Ho imparato l’abc della scrittura lavorando a quelle serie - racconta Crais - e scrivere fiction mi ha permesso non solo di sbarcare il lunario ma mi ha insegnato un vero e proprio mestiere. È stata una palestra di scrittura forte in cui ho imparato a scrivere plot e dialoghi. Pensate che più che essere ricordato per i miei romanzi, rischio invece di finire nella sezione dedicata ai telefilm anni Ottanta del Trivial Pursuit».
Ma qual è la serie che si è divertito di più a sceneggiare? «Miami Vice, perché mi piaceva molto l’uso della velocità, il ritmo, l’ambientazione, la musica e soprattutto amavo due personaggi eccezionali come James “Sonny” Crockett e Ricardo “Rico” Tubbs. Non vedo l’ora di rivederli al cinema quest’estate visto che Michael Mann ha deciso di dedicargli il suo prossimo film. Quella serie mi ha persino permesso di avere Frank Zappa come guest star di un episodio scritto da me. Ancora oggi, quando scrivo i romanzi di Elvis Cole uso il metodo Miami Vice e mi immagino la musica perfetta per ogni sequenza che scrivo».
Come mai non è mai stato realizzato un serial con il suo Elvis Cole? «È stata una mia scelta. Così come è stata una mia scelta affidare a Bruce Willis il ruolo del protagonista in The Hostage: era perfetto per interpretare il mio negoziatore Jeff Talley. Non venderò mai i diritti della serie del mio detective perché credo di averlo ideato solo per la carta stampata. Elvis Cole è un personaggio al quale io ho dato certe caratteristiche ma che diventa vivo e credibile solo quando raggiunge la mente dei miei lettori. Solo allora il mio eroe diventa qualcosa di unico e ognuno può rappresentarselo come vuole.

Solo allora posso affermare che la mia arte è completa. Mi spiacerebbe sciupare questo rapporto esclusivo e fantastico fra me e i miei lettori cedendo i diritti del mio personaggio per la televisione o il cinema. Non ho alcuna voglia né di deluderli né di ingannarli».

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