I signori Obama nel dimenticatoio della sinistra

Egr. dott. Granzotto, Michelle Obama che fine ha fatto? Un tempo i media non smettevano di informarci sui suoi vestiti, il suo orto alla Casa Bianca, le sue braccia così toniche da far impallidire le ginnaste. Poi più niente! Ha forse rinunciato alla ribalta per non finire abbinata al suo «sòla»?
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Negli Stati Uniti Michelle Obama seguita a far notizia, naturalmente. È pur sempre l’inquilina della Casa Bianca e quindi, assieme a suo marito, al centro dell’attenzione. Se dunque Michelle cambia look la stampa popolare e le televisioni locali ne danno conto, anche perché c’è tutta un’America femminile e provinciale che immancabilmente adotta lo stile first lady, comunque essa si chiami. Naturalmente l’opinione pubblica è sempre aggiornata sull’andamento dell’orto presidenziale (spinaci, rucola, broccoli, finocchi, lattuga, patate dolci e carote). Anche se si ironizza un po’ sul fatto che a mandarlo avanti è Sam Kass, il giardiniere della Casa Bianca, e che a stabilire quali ortaggi seminare è il segretario di Stato all’Agricoltura, Tom Vilsak: così, è il commento dell’America profonda, son capaci tutti. Sono solo mugugni, ben inteso, però l’entusiasmo e la conseguente venerazione della coppia Obama seguita a scemare. E ai mugugni si stanno unendo le critiche e i giudizi sommari, assai poco lusinghieri (parlando di Sasha e Malia, le notorie first daughters, a una platea di marmocchie e marmocchi, Barack si disse un tantino in difficoltà con le figlie: «Immaginate se vostro padre finisse tutti i giorni sui giornali e la gente lo trattasse da imbecille»). E sottolineo imbecille.
Niente a che vedere, però, col silenzio di tomba calato qui in Italia sulla coppia presidenziale. Inutile ricordare ai lettori il delirio isterico che galvanizzò la società detta civile e l’insieme dei «sinceri democratici» all’elezione di Obama. Lo scialo di osannanti articoli su Barack e su Michelle, della quale si finì per esaltare, come lei non dimentica, caro Pestrin, financo le bracciotte, evidenziando il fatto che la first lady amasse tenerle scoperte, in bella vista come si dice. Attitudine subito indicata come un lampante segno di cambiamento, per una folata d’aria nuova, democratica e afroamericana, a spazzar via il rancido puzzo wasp e reazionario che George e Laura Bush avevano lasciato in Pennsylvania Avenue. Questo per dire fino a che limite giunse il delirio. Ora, trascorso giusto il tempo per accorgersi che Obama è una sòla (lo ripeto: sòla, bidonata, fregatura per i «sinceri democratici» che lo scambiarono per il messia), neanche alle carote o agli spinaci presidenziali la stampa libera e democratica accenna più. Non parliamo delle bracciotte e del look. Poco spazio dedicano anche al consorte, i cuoi discorsi non solo non vengono più etichettati come «storici», ma sono relegati, in sintesi striminzite, in qualche buco delle pagine interne. La verità è che il povero Obama e la povera Michelle sono le ennesime vittime dell’ictus della sinistra: accendersi per l’ultimo uomo della provvidenza che intravvedono - sia esso Prodi o Veltroni, Zapatero o Obama -, per poi subitamente spegnersi allorquando lo vede incapace di fare ciò che il popolo «sinceramente democratico» esige da un «Presidente di tutto il mondo» (copyright Concita De Gregorio): cambiarlo, il mondo, o, per dirla alla Totonno di Pietro, rivoltarlo come un pedalino. Portando, con un semplice schiocco delle dita, libertà, pace, ricchezza e giustizia. Questo in generale. Nel particolare, manco a dirlo, caro Pestrin, far fuori Berlusconi. Perché gratta gratta questo s’auguravano i «sinceri democratici»: che nel planetario rebelotto obamiano e per far buon peso ci lasciasse le penne anche il Cavaliere.

E siccome nisba, son tutti alla ricerca del nuovo Uomo della provvidenza: in pole position, Nichi Vendola e Roberto Saviano. A Washington o a Hyannis Port direbbero «from riches to rags». A Roma o a Capalbio, dalle stelle alle stalle.

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