Politica

I soldi per finanziare il terrore nascosti anche in conti italiani

Secondo la relazione semestrale dei Servizi consegnata ieri al Parlamento, il terrorismo islamico può disporre nel nostro Paese di una rete di circuiti extrabancari. Coinvolte anche insospettabili associazioni filantropiche

Claudia Passa

da Roma

Se Al Qaida minaccia l’Italia, in Italia c’è chi la foraggia. L’industria internazionale della morte può contare nel nostro Paese non solo su un sottobosco di connivenze ideologiche, ma anche su un concreto sostegno finanziario. Nella relazione semestrale consegnata ieri dal Cesis al Parlamento i servizi segreti non si perdono in giri di parole. E accanto all’analisi di un allarme che dopo gli attacchi di Londra viene definito «significativo», mettono a nudo l’esistenza di inquietanti collegamenti tra il network internazionale del terrore e «basisti» che dall’interno dei nostri confini contribuiscono a rimpinguarne le casse e a oliare la macchina della propaganda fondamentalista.
L’«obolo» italiano per i martiri di Allah. Non solo la generosità dei Paesi «amici», non solo i traffici di droga e armi e le estorsioni tramite atti di pirateria, non solo le casse (sempre piene) di ong islamiche, associazioni «caritatevoli» che nascondono poco caritatevoli fini e moschee di orientamento radicale. A foraggiare l’industria del terrore sono anche insospettabili complici in Italia. L’analisi del Sismi non lascia dubbi: «Con riferimento al nostro Paese - scrivono gli 007 - il servizio ha acquisito elementi circa la raccolta e il trasferimento all’estero di somme di denaro destinate a organizzazioni di copertura di formazioni estremiste mediorientali e a una rete, situata in Paesi arabi, sospettata di finanziare il terrorismo islamista». Quanto all’attività di propaganda e proselitismo, accanto alle sigle della galassia integralista, in particolare nordafricana, gli 007 concentrano la propria attenzione su «formazioni transnazionali di più ambigua connotazione. Il monitoraggio dell’intelligence - prosegue la relazione - pone in luce la presenza, anche nel nostro Paese, di ambienti attivamente impegnati nel sostenere la “causa” islamista, spesso in maniera tanto inabissata e sfuggente da eludere la tassatività delle previsioni normative, come dimostrato da alcuni recenti sviluppi processuali». Sotto osservazione, inoltre, il possibile sfruttamento di canali alternativi ai circuiti bancari e più difficili da controllare (come l’arcaico hawala, ma anche money transfer e cash courier), nonché lo sfruttamento di scuole coraniche e organizzazioni filantropiche islamiche, «talvolta strumenti, anche inconsapevoli, di finanziamento delle cellule del terrorismo di matrice confessionale».
L’Italia nel mirino. L’allarme terroristico nel nostro Paese è considerato «significativo», la minaccia è «immanente». Gli attacchi di Londra, a giudizio degli analisti, costituiscono «un’ulteriore riprova dell’esistenza di progetti intesi a colpire il “nemico europeo” nel suo territorio e nei suoi segmenti sociali ed economici più vulnerabili». Non solo: le bombe nella City appaiono anche «funzionali al rilancio di un preciso percorso strategico secondo il quale la lotta al “nemico lontano”, la “coalizione crociata” di tanta letteratura estremista, costituisce un passaggio tattico irrinunciabile nella lotta al “nemico vicino”, rappresentato dai governi islamici “apostati” di cui ci si prefigge la conquista all’islam radicale». L’allarme per il nostro Paese, nello specifico, «si desume pure da scritti e sortite di taglio strategico che da tempo includono l’Italia tra gli obiettivi dell’offensiva jihadista, ponendosi come “legittimazioni-rivendicazioni preventive” di eventuali attacchi anti italiani».
Riflettori puntati sul periodo elettorale: «I ripetuti riferimenti a una presunta “corresponsabilità” dei popoli occidentali nelle scelte di politica estera dei propri governi - si legge - si pongono come indicatori di possibili nuove sortite intese a influenzare o strumentalizzare appuntamenti politici di rilievo». La strategia, comunque, è «di lungo periodo», nell’ambito di «un disegno al quale concorrono iniziative mediatiche di stampo minatorio preordinate a riproporre e amplificare l’impatto e il “successo” delle operazioni terroristiche».
Massima allerta anche per il nostro contingente in Afghanistan, poiché l’Italia assume proprio a partire da oggi il comando della missione Isaf e questo potrebbe comportare «una maggiore esposizione a forme di minaccia diretta». Anche a Nassirya il livello di allarme è considerato «alto», mentre prosegue il monitoraggio sul mercato del nucleare, ancor più stretto a causa delle mai sopite ambizioni di Al Qaida di dotarsi di materiali Nbcr (nucleari, batteriologici, chimici e radiologici) per compiere il salto di qualità o almeno essere in grado di fabbricare le cosiddette «bombe sporche».
Guerra santa «made in Italy». La minaccia jihadista che i nostri 007 si trovano a fronteggiare si inquadra in un panorama complesso e articolato, in cui «dimensione internazionale e domestica del rischio si fondono e si sovrappongono». In Italia gli accoliti dell’islam radicale si vanno «decentralizzando dall’organizzazione madre», per ricostituirsi in «microaggregazioni attive, per lo più di origine nordafricana» (come il Gicm marocchino), «potenziali veicoli della propaganda e dei disegni antioccidentali», coagulate anche attorno ai canali dell’immigrazione clandestina. Snodo italiano delle reti islamiste si conferma la Lombardia (assieme a Emilia, Toscana e Campania), dove più strutture sono sospettate di «fungere da centrali per il reclutamento e il finanziamento». In continua crescita i luoghi di culto (145 quelli censiti al sud, 96 al centro e 370 al nord, dove è maggiore la presenza di imam impegnati nel «radicalizzare la propaganda religiosa») nonché le scuole coraniche, alcune delle quali «emerse per l’impostazione integralista degli insegnamenti» e «il possibile impiego dei fondi ricavati a sostegno del jihad». A livello regionale e nazionale, invece, si articolano nuovi gruppi di «predicatori itineranti», potenziali «veicoli per la cooptazione di militanti» e «copertura per gli spostamenti e le attività di finanziamento e il supporto logistico». Monitorato anche il pericolo del «reducismo» (ovvero il possibile «ridislocamento di combattenti islamici provenienti dall’Irak»), nonché la pericolosa commistione fra terrorismo e criminalità che avrebbe fatto da sfondo anche al sequestro di Clementina Cantoni a Kabul.
La minaccia dell’eversione interna. In un panorama internazionale in cui si monitora costantemente l’area mediorientale, la criticità della situazione nel Corno d’Africa, la recrudescenza di infiltrazioni salafite e wahabite nei Balcani ma anche l’ambizione dell’Iran e della Corea del nord in campo nucleare, gli 007 non perdono d’occhio la minaccia del terrorismo interno. La «componente eversiva al momento più pericolosa - si legge nella relazione - è la Fai», ovvero la Federazione anarchica informale, che nella recente recrudescenza di attentati ha dimostrato di muoversi «secondo gli schemi propri di una banda armata clandestina». «L’obiettivo dichiarato - spiegano gli 007 - è quello della distruzione dello Stato e dei capitali, da perseguire attraverso un percorso di lotta armata che contempla una serie crescente di azioni terroristiche contro obiettivi-simbolo, specie della “repressione” e dello “sfruttamento”». La galassia anarcoinsurrezionalista nel suo complesso, non immune da «attriti e frammentazioni», è caratterizzata da «un doppio livello operativo di sodalizi che associano alla militanza “palese”, con iniziative di piazza anche violente, la pratica dell’azione diretta clandestina, a connotazione fortemente intimidatoria».
Quanto al fenomeno brigatista, prosegue ininterrotta anche l’attività di monitoraggio del Sisde che teme «contatti tra ambienti dell’estremismo rivoluzionario e del circuito degli irriducibili detenuti» e un conseguente «rilancio dell’offensiva», nonché i «rischi di attivazioni eversive in direzione del mondo del lavoro», a causa dell’estremismo «marxista-leninista che strumentalizza le tensioni occupazionali».

Si registra anche «un certo dinamismo nella geografia degli irriducibili», probabilmente dovuto all’arrivo in carcere delle «nuove leve».

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