La capitale questa volta la pagate voi. Non è mai facile per i laziali avere a che fare con Roma. La città di Romolo è da sempre una grassa matrigna. È una storia che nessun padano può raccontare. È troppo lontana, troppo antica. Quando voi eravate ancora barbari noi, gli altri, quelli che sul Tevere chiamavano già burini, colpa di quel buris , il timone dell’aratro simbolo e maledizione degli antichi braccianti, stavamo lì a bestemmiare contro l’Urbe, i suoi vizi, la sua fame, l’avidità, la grandezza di sentirsi e stare al centro del mondo. Roma non te la scrolli di dosso. È una massa nera e meravigliosa che tutto attrae. Prima o poi ci finisci dentro. Roma costa, Roma pesa, Roma arricchisce chi ne conosce i segreti, chi sa dove bussare, chi intrallazza, chi si svende, chi intercetta quel denaro che arriva da ogni strada, come se il delta del potere e dei soldi approdasse qui, scivolando sulle pietre consumate dalla corruzione e dal cinismo. Qui i furbetti non hanno quartiere. Quasi sempre vincono e spaziano. Tanto saranno gli altri a pagare il conto. Ma è un prezzo che alla splendida matrona, lupa e meretrice, non si può non pagare. Questa città è davvero magica. È un lusso e i primi a pagarlo sono quelli che da sempre gli stanno vicini. Noi, i burini. No, non è solo questione di pecunia. È chiaro, gran parte dei soldi della Regione Lazio finiscono nell’Urbe. Quelli che sognano la secessione parlano dell’80, forse l’85 per cento. Ma non è solo questo il problema. Roma è un’ombra che nasconde tutto. Qualche volta soffoca e la provincia ci si perde. Acchiappa e rende in briciole. Ti fa sembrare il resto un’identità minore. Non c’è Sabina. Non c’è il ricordo degli Etruschi. Non c’è Rieti. Non c’è la rinascita dalle paludi della giovane Latina. Non c’è Anagni. Non c’è Arpino. Perfino Montecassino e le tracce dei santi scompaiono. Quante volte gli altri, i burini, si sono chiesti: ma non era meglio stare in Umbria o in Abruzzo o addirittura in Toscana o la maledetta Campania che marcisce al di là della linea Gotica, nuovo confine di Gomorra? Follia? Forse. E frustrazione. Ma quanta luce in più arriva lontano dall’eternità. Di tutto questo Roma se ne frega: lavorate e accontentatevi di stare a un passo dalla gloria. Accontentatevi del bagliore riflesso. È questa la maledizione del Lazio. Allora brindiamo a Roma Capitale. Se vai a vederla bene questa storia potrebbe essere una svolta. Il sogno, anzi, va anche oltre. Il sogno è Roma come Washington D.C. Roma capitale, Roma distretto, Roma città aperta, qualcosa che non ha terra, non ha orizzonti,un simbolo,un’ideale, una magia che il Lazio dona al mondo, all’Italia, a quelli che stanno su e a quelli che stanno giù. Cercate di capire. Se Roma è capitale non è solo un’affare nostro. Non la paghiamo solo noi. Roma è di tutti e ognuno ci butta il suo obolo. La grassa matrigna non ha più bisogno dei soldi e del lavoro del Lazio. Questa volta, dicono, le risorse arriveranno in nome del suo status e della sua gloria. Roma Capitale, sostengono, avrà molta più facilità a succhiare i soldi europei. È autonoma. È ricca. È piena di risorse. È una leggenda che tutto il mondo dovrebbe venerare. E a noi, gli altri, i burini, i figli di equi, volsci, sanniti e di tutti quei popoli che l’hanno vista bambina, questa storia va più che bene. L’importante è che Roma non sia più il Lazio. Noi non siamo la capitale. Noi non siamo leggenda. Noi vogliamo solo riscoprire e far conoscere le nostre piccole cose. Ci accontentiamo di poco.
Ci basta essere una regione come le altre. Una regione senza Roma. Felici di averla vicina, ma con uno sguardo un po’ più lontano. Questo è quello che dicono i secessionisti laziali. Roma brillerà come capitale, a noi lasciateci il resto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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