Due pesi, una procura. Mentre gli inquirenti romani che indagano sull’affaire immobiliare monegasco escludono, per il momento, di dover sentire sul tema il presidente della Camera Gianfranco Fini (nonostante il suo ruolo nella vicenda e il piccolo dettaglio che suo «cognato» abita nella casa i cui destini sono al centro del fascicolo di indagine), i magistrati della stessa procura capitolina al lavoro sulla cosiddetta P3 starebbero, secondo indiscrezioni, valutando la possibilità di ascoltare, come persona informata sui fatti, il premier Silvio Berlusconi. La cui testimonianza, anche se al momento solo ipotetica, prenderebbe corpo in seguito alle dichiarazioni rese a verbale da uno dei presunti affiliati alla presunta associazione segreta, presunto sodale di Flavio Carboni e Pasqualino Lombardi, ossia Arcangelo Martino.
In particolare, a solleticare l’eventualità di convocare il Cav sarebbe stato un passaggio dell’interrogatorio del 19 agosto scorso, nel quale Martino, commentando alcune intercettazioni in cui si parla di «Cesare e vice Cesare», dice al pm di identificare il primo con Berlusconi e il secondo con Marcello Dell’Utri, e spiega che si trattava di «un linguaggio utilizzato da Carboni e Lombardi» anche se lui stesso «ne conosceva il significato».
Curioso, a questo proposito, che proprio in una telefonata intercettata tra lo stesso Martino e Carboni, la mattina del 16 settembre d’un anno fa, il secondo parlando di «Cesare», spiega al primo che «è a Catania, e rientra sabato, venerdì sera». Ma Berlusconi non è stato a Catania nell’autunno del 2009. Dunque, l’associazione tra il premier e il «Cesare» dei presunti «pitreisti» non sembra proprio granitica. D’altra parte, fu la stessa procura di Roma, alla fine di luglio, a far sapere che quello pseudonimo, Cesare, era usato per più persone, e che «in ogni caso non emergono fatti di rilevanza penale attribuibili a questo soggetto, chiunque sia».
Martino nel primo interrogatorio, di fronte alla contestazione della Legge Anselmi sbottò: «Ma quale associazione segreta, signor giudice! Semmai un’assemblea di figure e ‘mmerda. Le cose nelle carte sono poesia e fantasia». Le sue dichiarazioni sono invece variabili e più prosaiche, e a dirla tutta nemmeno la procura capitolina sembra averle prese per oro colato. Di certo qualche dubbio sull’attendibilità dell’indagato ce l’ha il giudice per le indagini preliminari Giovanni De Donato, che nell’ordinanza con cui venerdì ha rigettato l’istanza di revoca dell’arresto di Arcangelo Martino spiegando che le dichiarazioni dell’interrogatorio del 19 agosto sono «solo parzialmente veritiere» e dunque «non appaiono attenuare in modo rilevante tali esigenze di cautela». Secondo il gip, in particolare, Martino «ha chiaramente eluso il proprio effettivo ruolo in tali fatti attinenti alla societas sceleris in contestazione, affermando quasi un suo ruolo inconsapevole». Martino si è insomma descritto come «sottoposto» a Carboni e Lombardi, cosa che non ha convinto gli inquirenti e nemmeno il giudice, in quel faccia a faccia di mezzo agosto.
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