I (sotto)titoli di coda sul viale del tramonto radical chic

Q uando finirà del tutto la moda radicalchic di vedere i film in lingua originale, con raffinatissimi amici intellettuali che ancora ti scarrozzano all’altro capo della città alla ricerca dell’ultimo cinemino superstite? Ce ne sono rimasti pochi, forse, ma sono ancora troppi o li conosco solo io.
Ti dicono, i maniaci dei sottotitoli, che i film vanno visti in lingua originale perché altrimenti perdi la recitazione, perdi il suono, perdi l’atmosfera, perdi non so cosa, anche se è in una lingua di cui puoi comprendere solo i suoni e che quindi puoi solo fraintendere. Certo, qualsiasi semiologo avrebbe molto da ridire su una fruizione visiva tanto distratta dai segni testuali, basterebbe rispolverare la differenza tra significante e significato e infilargli in bocca il famoso sasso di Lacan per farli tacere. Comunque sia: volete vedervi un film di Kim Ki-duk in coreano? Allora fate le cose per bene, studiate il coreano e rinunciate ai sottotitoli.
Attention, s’il vous plaît, perché se un film non lo trovano nel cinemino d’essai o nella sala più sfigata di un multisala, ai radicalchic linguaoriginalisti basta una chiavetta Usb. Io sono stato costretto dal critico cinematografico Boris Sollazzo e dal deejay Emilio Pappagallo a sorbirmi un’ora e mezzo di un terribile film serbo in lingua originale che si intitolava tautologicamente A serbian film di un certo Sdan Spasojevic, esperienza che ha aumentato la mia diffidenza verso i serbi. Se Sollazzo mi dà tanto, non oso immaginare cosa accada a casa di Enrico Ghezzi.
Come se non bastasse i radicalchic linguaoriginalisti vedono in lingua originale anche le serie tv più commerciali, con il risultato snervante che si trovano sempre una ventina di puntate in vantaggio. Inoltre spesso le serie tv, a un certo punto, se non funzionano, non vengono più comprate dalle tv italiane, quindi io non saprò mai cosa succede in Fringe, nell’universo normale e in quello alternativo, proprio adesso che l’Olivia normale era finita nell’universo alternativo e l’Olivia alternativa in quello normale.
Nessuno dei radicalchic linguaoriginalisti, infatti, ha subìto il lutto per Sergio Di Stefano, il doppiatore del Doctor House, la cui morte mi ha costretto a fermarmi alla fine della sesta stagione perché doppiato da Luca Biagini mi sembra l’ispettore Callaghan. L’unico genere in cui l’eliminazione del doppiaggio è stata un bene è il porno, perché i porno doppiati facevano schifo, e in effetti nel porno i sottotitoli non servono, la lingua è universale.
In ogni caso quello dei radicalchic linguaoriginalisti è uno snobismo che non regge, sappiatevi difendere, nessuno di loro legge Dostoevskij in lingua originale.

Invece grandi tragedie, a Roma, e appelli su Facebook e in via del Corso, per la chiusura del cinema Metropolitan: «Dove guarderemo i film in lingua originale?». Cosa che io ho preso come una bella notizia, spuntandolo dalla mia lista di cinema: fuori uno.

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