Piloti, che gente. Lo diceva chi, un tantino, li conosceva: Enzo Ferrari. Gente che negli anni assurdi ed eroici e dannatamente pericolosi saliva in auto senza sapere se ne sarebbe scesa; anni di gomme pasticciate, sospensioni indecise, anni senza casco con serbatoi fra le gambe e muri e alberi a lambire la strada e le loro vite a trecento allora. Motorsports are dangerous, «le corse motoristiche sono pericolose» sta scritto sui pass degli addetti ai lavori: e se sono dangerous per loro, figuriamoci per gli attori veri di questi sport. Il caso Kubica, il suo drammatico schianto durante una gara minore di rally a cui si era iscritto fra un test di F1 e un altro, a cui aveva partecipato dopo il no della Renault al rally principe, il Montecarlo, giudicato troppo pericoloso, porta alla ribalta un quesito: visto che le corse motoristiche, non fa differenza se a due o quattro ruote, sono pericolose a prescindere e nonostante tutti i progressi tecnologici, come si può impedire a uno sportivo di praticarle al di fuori della propria disciplina? Tanto più a un pilota?
Manager e team principal del Circus F1 e del motomondiale non hanno dubbi: non si può. Ci si riesce a metà. Racconta un grande ex, Cesare Fiorio, gran capo Lancia e Fiat corse ai tempi dei 10 mondiali rally a raffica e team principal Ferrari tra l89 e il 91. Sotto la sua direzione, la Rossa sfiorò il titolo con Alain Prost: «Io avevo una regola molto semplice a dirsi, ma difficilissima da applicare completamente. A tutti i piloti ho sempre imposto il divieto di praticare attività che mettessero a rischio la loro capacità di svolgere il lavoro per cui venivano pagati. Anche giocare a calcio era vietato. Dico però che era difficile da applicare perché, se poi ti capitava di contattare il grande campione da portare in squadra, tutto si complicava. Ricordo Ayrton Senna (a maggio uscirà il libro di Fiorio che racconta il precontratto Ferrari-Senna poi sfumato a fine 1990): a uno come lui potevi porre il divieto, ma se ti rispondeva ok, non mi fai andare in moto? Sai che cosa ti dico? Dico che non se ne fa più niente... ecco che, allora come oggi, si doveva optare per una via di mezzo del tipo: va bene, niente divieto, ma tu sai che la squadra è assolutamente contraria per cui, nel caso dovessi farti male, ne pagherai tutte le conseguenze contrattuali... Ricordo le discussioni con Prost che voleva sciare, ricordo invece Mansell: era fanatico del golf... per cui perfetto per noi team principal».
Carlo Pernat, gran capo Aprilia negli anni 90, scopritore di Valentino ai tempi della 125 e, prima del Dottore, di Max Biaggi che con lui conquistò 3 titoli 250 di fila, ora segue come manager in MotoGp Loris Capirossi, Marco Simoncelli e Alex De Angelis. «Di solito nei contratti viene sempre inserita la clausola che vieta gli sport pericolosi: fra questi, motocross e parapendio... I rally non sono considerati a rischio per i piloti del motomondiale, infatti Valentino non ha mai incontrato problemi a partecipare a delle corse. Il terrore di tutti i team è invece il motocross. Fateci caso: Rossi si è rovinato la spalla facendo cross, prima di lui si erano rotti alla stessa maniera Simoncelli, Lorenzo, Pedrosa. Ma come si fa a impedirglielo? Tanto più adesso che i test sono ridotti a una manciata di giornate... Per loro diventa quasi un modo per mantenersi allenati. Certo, le Case minacciano penali, però alla fine non accade mai nulla. Di fatto, si trovano di volta in volta degli accordi pilota-team: il primo che chiede la cortesia, il secondo che la concede.
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