I TELECOMANDATI dalla spesa alle urne

I vecchi spot non servono più, i sondaggi fanno cilecca Ecco come oggi si condizionano consumi e voto

di Stefano Filippi

C'era una volta la pubblicità che cercava di orientare i comportamenti di acquisto. C'erano una volta le campagne elettorali fatte di volantini e manifesti che provavano a calamitare i consensi. Oggi la pubblicità sta cambiando e i sondaggi politici fanno cilecca. La gente mente, dicono. Afferma una cosa ma ne pensa un'altra. Forse non sa davvero che cosa vuole. Le decisioni d'acquisto o di voto obbediscono sempre meno a fattori razionali ed è sempre più difficile analizzarle per ricavarne trend attendibili. A meno che non si riesca a leggere nel pensiero, a cogliere i meccanismi inconsci che governano i comportamenti. Non è il futuro, è oggi. Si chiamano brainmarketing, ovvero la neuroscienza applicata alle decisioni di spesa, e neuropolitics se la si utilizza per la politica. Come ottenere risposte sul comportamento dei consumatori e degli elettori senza fare domande preventive; quali sono i processi emotivi e inconsci che stanno all'origine di una scelta; che cosa scatta nel cervello vedendo una pubblicità, un marchio, un certo modo di confezionare i prodotti, un simbolo di partito, una faccia. La pubblicità è nata per indirizzare le decisioni dei consumatori. Qui la prospettiva è rovesciata: non convincere la massaia a comprare un certo prodotto o un cittadino a preferire quel partito, ma capire ciò che vogliono senza rendersene conto, prevedere gli orientamenti e sottoporre l'oggetto giusto, confezionato su misura, e farglielo prendere senza scegliere. Perché è esattamente ciò che il soggetto cercava. Tre italiani su quattro hanno in tasca almeno una tessera fedeltà per fare compere. Il 44 per cento ne possiede tra due e cinque e il 17 per cento (un consumatore su sei)(...)

(...) ne colleziona più di sei. Lo dice una ricerca Nielsen, centro studi specializzato nell'analisi degli acquisti. Consumatori attenti, consapevoli, che non si lasciano sfuggire un 3x2, una raccolta punti, un servizio di piatti in omaggio. Eppure chi ci guadagna veramente da questa operazione sono gli uffici marketing delle catene di vendita. Senza spendere troppo essi ottengono una massa di informazioni preziosissime per capire gusti e abitudini dei clienti: quanto spendono, che cosa comprano, con quale frequenza, quanto approfittano delle offerte, quali etichette preferiscono e quali potrebbero abbandonare a favore di altre, simili ma più convenienti.

È un modo per avvicinarsi sempre di più alle esigenze dei consumatori. In verità, questa è una piccola parte di ciò che si può conoscere sui comportamenti di acquisto. Chi compra su internet, per esempio, rivela ai siti di e-commerce interessi, curiosità e oggetti del desiderio che le tessere fedeltà non possono cogliere. Il mese prossimo a Seattle sarà inaugurato il primo supermercato «reale» di Amazon. Invece che ordinare sul web, si entra nel magazzino attrezzati con un telefonino, una app e un carrello. Una rete di sensori rileva i prodotti prelevati e all'uscita addebita il conto direttamente sulla carta di credito. L'hanno già battezzato l'ipermercato senza code e senza casse, ma è davvero molto di più: i rilevatori segnalano dove ti fermi, che cosa ti attrae, per quanto tempo soppesi l'acquisto, che cosa prendi per decisione razionale e cosa per impulso.

COME IN UN FILM DI SPIELBERG

Potrebbe essere l'inizio della fine dei sondaggi, dei questionari, delle indagini di mercato condotti dopo l'acquisto, soppiantati da modelli predittivi che colgono le intenzioni prima che si trasformino in comportamenti. È l'avvicinarsi di un mondo che sembrava fantascienza fino a non molti anni fa: nel 2002 uscì il film Minority report di Steven Spielberg che ipotizzava (nel 2054) l'esistenza di un corpo di polizia «precrimine» che sventava i reati prima che venissero commessi perché qualcuno riusciva a prevedere i comportamenti delittuosi. Ma nel brainmarketing non servono veggenti o «precog» con poteri extrasensoriali: le scelte vengono anticipate grazie agli studi delle neuroscienze, della psicologia comportamentale, della genetica. E in virtù delle enormi banche dati che incrociando montagne di rilevazioni elaborano algoritmi che riescono a individuare le tendenze.

Di recente un gruppo di giovani ricercatori dell'università «La Sapienza» ha condotto una sperimentazione in un supermercato di Roma in collaborazione con Agroter, società di consulenza per il settore agroalimentare. Hanno messo sulla testa di alcuni clienti una fascia con elettrodi per l'elettroencefalografia istantanea (che misura le onde cerebrali e le relative reazioni), mentre un occhio era monitorato da un eye tracker, un tracciatore che coglieva i più impercettibili movimenti dello sguardo, l'impegno cognitivo e l'impatto visivo. L'obiettivo era capire le abitudini di acquisto di prodotti ortofrutticoli, i cui consumi sono in calo costante. Sono stati monitorati tutti quei riflessi, anche irrazionali, a cui un consumatore è soggetto in un punto vendita: gli acquisti d'impulso ormai rappresentano tra il 70 e l'80 per cento della spesa. Il team ha scoperto che si vende molto più facilmente quando appare la figura del produttore, sia se è raffigurato sulla confezione e tanto più se è presente fisicamente nel punto vendita.

IL POTERE DELLE EMOZIONI

Il prodotto presentato dall'agricoltore ha riscontrato tassi di interazione neuronale quattro volte più alti che per gli altri prodotti. «L'incontro con l'agricoltore - sottolinea Roberto Della Casa, managing director di Agroter e docente di marketing all'Università di Bologna - ha favorito la memorizzazione, l'attenzione, la piacevolezza e il cosiddetto workload, cioè il carico di lavoro mentale, durante il processo di acquisto del prodotto. Le tecniche di brainmarketing possono essere molto utili per presentare prodotti o packaging a misura di consumatore. E con l'avanzare delle tecnologie, i budget necessari sono affrontabili non solo dalle multinazionali».

La squadra de «La Sapienza», chiamata Brainsigns, si era già occupata della trasformazione di Telecom in Tim: «In quel caso spiega il professor Fabio Babiloni, docente di neuroscienze e neuromarketing e direttore scientifico di Brainsigns - abbiamo impiegato in maniera estensiva le tecniche di neuromarketing per misurare l'impatto emozionale di diverse versioni del logo di Tim. Per il logo sono stati scelti forma e colori risultati emozionalmente più piacevoli a un campione rappresentativo di utenti».

Analoghe tecniche sono state impiegate nelle ultime campagne pubblicitarie Alfa Romeo. Nel settore del vino il brainmarketing funziona da tempo. Al recente Wine2wine svoltosi alla Fiera di Verona, una lunga serie di ricerche è stata citata da Vincenzo Russo, direttore del centro di ricerca Behavior and Brain Lap dello Iulm. Nel 2008 la professoressa Hilke Plassmann, docente di neuroscienze alla Ecole Normale Superieure di Parigi, sottopose tre assaggi di vino a un gruppo di degustatori dicendo che erano prodotti rispettivamente da 5, 45 e 90 dollari.

I POSTER ELETTORALI CI GUARDANO

In realtà la bottiglia era sempre la stessa, ma le reazioni cerebrali inconsce erano diverse: a parità di stimolazione sensoriale le persone provavano un'emozione maggiore con il vino più caro. «Il mondo del vino è emozione ha spiegato il professor Russo e la maggior parte dei consumatori non sceglie per conoscenze e competenze, ma per forma della bottiglia, etichetta, prezzo, presentazione. Il consumatore non è una macchina pensante che si emoziona, ma una macchina emotiva che pensa».

Lo stesso principio vale in politica. Nel 2012 per la campagna presidenziale in Messico il candidato Enrique Peña Nieto utilizzò grandi database con monitoraggio di espressioni facciali, frequenze cardiache, alterazioni epidermiche e onde cerebrali dei suoi connazionali. I cartelloni pubblicitari elettronici non facevano soltanto propaganda elettorale, ma fotografavano, analizzavano e studiavano le facce di chi si fermava a osservare.

Secondo un'inchiesta del New York Times le tecniche della neuropolitica sono state impiegate in Spagna, Russia, Turchia, Argentina, Brasile, Colombia, Polonia. Qui la premier Ewa Kopacz alle ultime elezioni si è fatta aiutare da una società di brainmarketing. Ma ha perso. Per i neuromiracoli è ancora troppo presto.

Stefano Filippi

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