I thailandesi vogliono la Rinascente ma è guerra di carte bollate

Quando Gabriele d’Annunzio con un colpo di genio ribattezzò «Rinascente» i vecchi «Magazzini Bocconi» di piazza del Duomo non poteva immaginare che quasi un secolo dopo lo sterminato negozio sarebbe divenuto il campo di una battaglia senza esclusione di colpi. Sulla sorte della «Rinascente» è in corso un braccio di ferro che ieri è approdato davanti al tribunale civile. Sullo sfondo, la possibilità concreta che la «Rinascente» possa in tempi stretti finire in mani straniere: thailandesi, addirittura. Una prospettiva che, in tempi di economia globalizzata, ha ben poco di scandaloso. Ma che suona forse un po’ straniante per le generazioni di milanesi per le quali quei dieci piani di giacche e di accapatoi, di profumi e di lenzuola, sono un pezzo importante dell’identità cittadina.
Contro il passaggio dell’azienda in mani straniere è sceso in campo l’ultimo erede della dinastia che l’ha controllata per decenni: i Borletti, quelli delle macchine da cucire e delle munizioni da guerra. Maurizio Borletti ha ancora il 4 per cento dell’azienda, e di fatto è lui a mandarla avanti. E ieri è andato dai giudici a dire: ci sono anche io. Anche io sono pronto a comprare la «Rinascente». Ma Borletti ha davvero i soldi? Gli altri soci non ne sono tanto convinti. E prima di dargli le chiavi della «dataroom», la sacrestia dove si custodiscono i conti segreti della società, vogliono vederci più chiaro. Lui l’ha presa malissimo, e ha chiesto al tribunale addirittura di azzerare i vertici della società. Dietro di sè dice di avere i grandi marchi del lusso italiano, da Prada a Armani, disposti a scendere in campo con lui per evitare che sui dieci piani di scaffali sventoli la bandiera thailandese.
Il giudice ha rinviato tutto al 2 marzo. Se per quella data Borletti avrà dimostrato di fare sul serio, gli altri soci dovranno aprirgli la «dataroom»: dove, peraltro, i rivali thailandesi sono già al lavoro da tempo, per capire come stanno esattamente i conti del superstore. E a quel punto le due offerte potrebbero davvero entrare in gara. Nell’udienza di ieri, l’erede dei Borletti ha già indicato, anche se in modo un po’ approssimativo, la cifra che intenderebbe mettere sul tavolo: trai 178 e i 204 milioni di euro. Come risponderanno gli uomini di Central Retail, il colosso che da Bangkok sta pianificando lo sbarco in piazza del Duomo?
Gli inglesi, a Londra, si sono dovuti rassegnare al fatto che Harrod’s, l’equivalente locale della Rinascente, finisse nelle mani dell’egiziano Mohamed al Fayed, e dalle sue in quelle della famiglia reale del Qatar. Quindi è possibile che anche i milanesi debbano farsi una ragione dell’ammaina bandiera.

Ma prima di vedere la parola fine della storia si dovrà aspettare a lungo: anche perché dai tempi di Gabriele d’Annunzio l’economia si è fata un po’ complicata, e oggi l'azionariato di Rinascente è una cosa da far venire il malditesta: il palazzo appartiene a una cordata, che sta pensando di venderlo all’Enpam, l’ente previdenziale dei medici; l’attività vera e propria ad un altra cordata dove c’è dentro di tutto, dalla Prelios (la ex Pirelli Re), ai tedeschi di Deutsche Bank, persino Dario Cossutta, figlio del fondatore di Rifondazione Comunista. È contro questa cordata arcobaleno che Marco Borletti ha lanciato la sua crociata, accusandola di voler vendere oltre confine il marchio simbolo del made in Milan.

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