I titoli vanno ko in Borsa: l’incubo del commissariamento

Fastweb perde il 7,56%, Telecom il 2,87. Le due società si difendono: «Abbiamo voltato pagina già nel 2007»

I titoli vanno ko in Borsa: l’incubo del commissariamento

E adesso? si chiedono gli azionisti di Fastweb e di Telecom Italia, che controlla al 100% Telecom Sparkle, la società oggetto delle indagini della magistratura. La prima risposta l’ha data la Borsa, che dopo una seduta molto concitata ha dato un sonoro schiaffo a entrambi i gruppi: Fastweb è crollata del 7,56%, e ha chiuso a 15,05 euro; Telecom Italia ha perso il 2,87%, a 1,083 euro. Ma la domanda se la pongono anche clienti, fornitori, dipendenti: tutti coloro che, in qualche modo, possono subire le conseguenze della bufera giudiziaria che ha travolto i due gruppi di tlc.

I pubblici ministeri che indagano sul riciclaggio e la frode fiscale, oltre ad aver disposto 56 ordini di arresto, hanno richiesto il commissariamento delle due società: un esproprio dei poteri dell’azionista, seppur temporaneo; una sorta di «messa in sicurezza» per la società perché tali comportamenti non si ripetano. Il commissariamento è stato richiesto in base alla legge 231 del 2001, che prevede sanzioni per le società che non predispongono misure idonee a evitare reati da parte dei propri dipendenti, da cui traggono vantaggio.
La richiesta è stata sottoposta al Gip che si pronuncerà il 2 marzo dopo aver sentito le parti, che cercheranno di dimostrare l’estraneità dell’attuale gestione e l’impermeabilità dell’odierna organizzazione a nuovi rischi di questo tipo. Ricordiamo che le vicende contestate appartengono al periodo 2003-2006.

Entrambe le società - accusate di associazione per delinquere transnazionale e di riciclaggio internazionale - si sono dichiarate «parte lesa», e questo significa che potranno presentarsi parte civile nel procedimento.
Le loro fisionomie sono diverse. Telecom Sparkle è l’unità di business del traffico internazionale di Telecom, ma con propria personalità giuridica. Ha alcune centinaia di dipendenti e un fatturato di 1,3 miliardi nei primi 9 mesi del 2009. L’attività internazionale - quella oggetto delle indagini - è invece una semplice divisione di Fastweb, cioè senza una propria autonomia; e oggi - fanno sapere dal gruppo - è un’attività quasi del tutto cessata. Non c’è dubbio, tuttavia, che questa mancanza di perimetro netto provoca un maggior impatto d’immagine su Fastweb, che ha migliaia di dipendenti e 1,5 milioni di clienti.

Che Sparkle sia una società autonoma significa che il gruppo Telecom verrebbe investito in maniera meno pesante da un eventuale commissariamento (che riguarderebbe il solo complesso delle vendite di traffico internazionale all’ingrosso, tipicamente professionale), mentre diverso sarebbe il caso di Fastweb, che ha un’attività di retail molto capillare. Qui le conseguenze operative e d’immagine potrebbero essere di ampia portata. Cosa che ha indotto ieri la società a dichiarare ufficialmente, con un comunicato, di garantire «la continuità dell’attività ai clienti, ai 3.500 dipendenti e alle oltre 8.000 persone che lavorano per l’azienda».

Da qui al 2 marzo gli avvocati delle parti saranno impegnati per scongiurare l’ipotesi del commissariamento. Entrambe le società ritengono di avere ampie motivazioni. A Telecom Sparkle le indagini giudiziarie avevano provocato già al loro avvio, nel 2007, una serie di controlli interni che avevano fatto emergere situazioni poco chiare, portando all’immediata interruzione di contratti. Ulteriore «pulizia» sarebbe stata fatta, per sicurezza, da Franco Bernabè, al suo arrivo alla guida del gruppo Telecom, nel 2008. A quello stesso periodo risale la sostituzione di Stefano Mazzitelli - per il quale è stato richiesto l’arresto - dal ruolo di amministratore delegato di Telecom Sparkle.

Anche per Fastweb la linea sembra quella dell’aver «girato pagina». Sergio Scaglia fu sentito nel 2007 per la prima volta, e sarebbe emersa allora, all’interno del gruppo, la necessità di porre le massime cautele a quei «caroselli» di fatture che permettevano di vendere traffico all’estero senza Iva per poi ricomprarlo con l’Iva. Le società coinvolte erano, non a caso, soprannominate «cartiere». Tale presa di coscienza indusse Fastweb a ridurre progressivamente l’attività di vendite di traffico all’estero, ormai - assicurano fonti vicine al gruppo - cessata.

A Fastweb vengono contestati 38 milioni di Iva, a Telecom 300. Ieri sera Swisscom, azionista di controllo di Fastweb, ha dichiarato che al momento del suo ingresso, nel 2007, era a conoscenza delle accuse di riciclaggio e frode fiscale e sapeva dei rischi a cui andava incontro.

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