In fiduciosa attesa che la posizione dei volontari di Emergency arrestati a Lashkar Gah sia chiarita dalle autorità locali, possiamo già fin d’ora circoscrivere il loro ruolo nella vicenda entro tre possibilità. La prima: sono vittime di un complotto ordito dal fronte del male americo-afghana la quale, come suggerisce Gino Strada, ha cercato un pretesto per allontanare scomodi testimoni dal futuro teatro di una offensiva contro i talebani. Si dà infatti per scontato, da parte di Emergency, ovviamente, che quando i marines si lanciano in operazioni di ripulisti non vadano mai tanto per il sottile, falciando pertanto vite di civili innocenti. Un effetto collaterale che il generale Stanley McChrystal, comandante delle truppe Nato, non ama sia rivelato alla opinione pubblica, cosa che invece gli uomini di Emergency avrebbero immancabilmente fatto. La seconda: i tre sono effettivamente dei terroristi. Al riparo della croce o cornetto rosso, in combutta con i terroristi talebani avevano imbastito un piano per far fuori, tramite attentato suicida (portato a compimento non da loro, non da uno dei tre di Emergency, ma ovviamente da un invasato e demente nativo afghano) il governatore della regione. Diciamo subito che queste prime due ipotesi lasciano un po’ a desiderare. I marines saranno quei pasticcioni che sono, McChrystal sarà quell’orgoglioso che è, ma non è da credere che si mettano a far la guerra, oltre che ai talebani, anche a Gino Strada. C’è poi il fattore Obama, che è pur sempre il commander in chief. Figuriamoci se un Uomo della Provvidenza venuto in terra per riportarvi pace, felicità e giustizia sociale autorizza un suo generale a compiere un’azione alla Bush, una sorta di «extraordinary rendition» bianca. Neanche a parlarne. Quanto alla seconda ipotesi, ce li si vede, Marco Garatti, Matteo Dell’Aira e Matteo Pagani Guazzugli Bonaiuti nei panni di piccoli Bin Laden «fai da te», soprattutto l’ultimo, con tutti quei cognomi. Farli capaci di pianificare e mettere a segno un attentato ai danni di un personaggio che si presume blindato entro svariati cordoni di guardie del corpo armate fino ai denti, foss’anche con l’ausilio dell’invasato demente imbottito di tritolo e pronto a morire per la causa, no, non sta né in cielo né in terra.
Resta la terza ipotesi: che i tre siano dei pirla, con rispetto parlando. Ovvero che si siano cacciati volontariamente nei guai. Colpivano, nelle foto giunte dall’Afghanistan e che ritraggono l’ospedale di Emergency, i due grandi cartelli affissi all’esterno. Con la scritta, ripetuta in arabo, «Do no enter with weapons» e un più secco, imperativo, «No weapons». Niente armi, qui dentro. Facile pensare che Gino Strada abbia sollecitato medici e personale ospitaliero a far rispettare quella disposizione e che dunque nessuno si fosse mai introdotto nell’edificio con grappoli di bombe a mano assicurati alla cintura delle braghe, con un M16 in pugno, la Colt nella fondina o il Kalashnikov sotto il barracano pashtun. Però, le altre fotografie apparse sui quotidiani mostrano un paio di scatoloni entro i quali, fra mucchi di ciaffi etnici, compaiono proprio delle armi, compaiono delle bombe a mano, il calcio di un mitra, le agghiaccianti cinture inzeppate di tritolo care ai kamikaze islamici. E sappiamo che uno dei tre fermati, Matteo Pagani Guazzugli Bonaiuti, ha l’incarico, lì a Lashkar Gah, di responsabile logistico, l’uomo che tutto deve avere sotto mano e sott’occhio.
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