I veri «grandi»? Quelli che lavorano per ridare un tetto agli abruzzesi

nostro inviato a L’Aquila

Il cantiere è illuminato come una cattedrale. Le gru si alzano e si abbassano in un chiarore che si apre nel buio all’improvviso, appena usciti dall’Aquila verso Paganica. Siamo a Bazzano, di fronte al piccolo borgo squarciato dal terremoto del 6 aprile. Mancano pochi minuti a mezzanotte.
Mentre a Coppito si ritocca il cerimoniale del G8, qui si lavora per qualcosa di lontanissimo dai riflettori. Eppure la luce più bella in questa città è questa: i fari puntati sugli operai che hanno le mani sporche anche questa notte, uomini che nessuno conosce, che nessuno sta fotografando, che non vedranno mai Obama e forse solo Angela Merkel, di passaggio oggi con la scorta per Onna. È la luce che inquadra il futuro: le case nuove per L’Aquila, qui a Bazzano, saranno più o meno mille e duecento. In questo cantiere stanno lavorando novecento operai convocati da tre ditte, di cui una, la Edimo, dell’Aquila. Lavorano divisi su tre turni. Questa squadra staccherà alle 2 e poi arriveranno gli altri, fino alle dieci del mattino. Non si smette mai. Si stanno finendo le piastre, sulla sinistra si vedono già i pilastri e il pian terreno di un garage. Qui a Bazzano «l’81% della piastre sono state terminate», spiega dalla Protezione civile il braccio destro di Guido Bertolaso per la ricostruzione, Vincenzo Speziante. È la piastra la parte più importante di queste nuove costruzioni, che saranno a due piani e di differenti metrature, ma che poseranno tutte su una soletta antisismica che da queste parti non si era mai vista. «Vedi i ferri, vedi i mollettoni - spiega un addetto alla security nel cantiere - le fanno così. Ci fossero state anche prima...».
L’11 luglio, dice Spaziante, «inizieremo a costruire». Non solo case e pilastri, ma la struttura vera e propria di questi «moduli abitativi». L’11 luglio, il giorno dopo la fine del G8: «Non c'è nessun legame con il G8 - garantisce il responsabile della Protezone civile -: la ricostruzione l’avevamo programmata già due mesi fa con questi tempi. Siamo in linea e in alcuni casi in anticipo sul cronoprogramma». Conferma che «le prime 3mila persone» entreranno nelle nuove case «tra il 20 e il 30 settembre». E questi lavori vedranno «un picco di 5mila operai», che si danno turni giorno e notte nei cantieri. Un terzo delle imprese edili aquilane stanno lavorando per questa ricostruzione. Ma il grande rilancio dovrebbe partire adesso: «La prossima settimana inizieranno le gare per le opere di urbanizzazione». Luce, gas, elettricità. Quella potrebbe essere la nuova vita delle imprese morte con il terremoto.
Lasciando Bazzano, a circa quattro chilometri, compaiono i tetti di Onna, le tegole risucchiate dall’interno, piegate dalla furia di un terremoto che qui ha ucciso 42 persone su 350 abitanti. È mattina, c’è un posto di blocco, si prosegue a piedi, lentamente, perché entrare a Onna quando non ci sono le visite ufficiali è come l’ingresso in un cimitero di campagna: si vede la distruzione nel silenzio di un paesino tutto da ripensare, chiuso dalle montagne.
Ma di colpo, dietro la prima curva, di fronte alle case che sembrano bombardate, compare un tetto di legno, poi la parete di una stanza, il caschetto di un operaio, il pennello per la vernice. Sono le nove casette di legno: dalle finestre ancora senza vetri si vedono i tetti storti di Onna, ma qui c’è profumo di segatura, c’è l’entusiasmo del lavoro finito. Quattro casette sono pronte. Oggi sarà qui in visita la cancelliera tedesca Angela Merkel e le vedrà, perché i tedeschi hanno Onna nel cuore, hanno adottato il paesino del terremoto, lo stesso luogo di una strage nazista del ’44.
Le case di legno saranno 91, costruite su terreno privato, proprio di fronte al vecchio paese. Sono composte da salottino, due stanze, un bagno. Le costruisce la Provincia autonoma di Trento con fondi della Croce Rossa, ma la Germania ha aperto un conto per le donazioni dedicato ad Onna presso la Deutsche Bank. Dal campo queste casette sono un sogno, la vita sotto la plastica è troppo difficile per sopportarla ancora. Ci sono due anziane davanti alla tenda, poco prima dell’ora di pranzo, che chiacchierano con Alessandra, l’interprete tedesca.

Una delle due donne racconta: «Pure domenica stavano a lavorare. “Guardate che Gesù Cristo ha fatto sei giorni di lavoro e uno di riposo!”, gli dico, ma quelli ci rispondono: “Qui la domenica si lavora, si lavora sempre!”».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica