I versi dimenticati di Achmatova, la "poetessa di tutte le Russie"

Il suo genio era indiscusso ma il regime di Stalin le impedì di pubblicare. Le sue poesie venivano tramandate a memoria

I versi dimenticati di Achmatova,  la "poetessa di tutte le Russie"
00:00 00:00

Quando a diciassette anni cominciò a pubblicare i suoi versi, fu costretta a scegliersi uno pseudonimo: il padre non voleva che il nome della famiglia venisse messo in ridicolo dalle poesie di una «ragazzina selvaggia» così la chiamavano in gioventù. Non poteva sapere che quel nom de plume, Achmatova, avrebbe resistito alle tempeste della storia e dato voce al popolo russo oppresso dal regime di Stalin.

Nata in provincia di Odessa nel 1889, già negli anni Dieci era una delle voci più amate dell'Impero: «Anna di tutte le Russie», la chiamavano. Ma con l'avvento della Rivoluzione, la dittatura comunista, tra i tanti poeti, colpì anche lei: troppo conosciuta per venire uccisa, nel 1925 il Partito stabilì di «non arrestarla, ma neanche pubblicarla», costringendola al silenzio e alla fame.

Negli anni del Grande Terrore arrestarono il suo unico figlio; i suoi amici più cari morirono in lager o emigrarono. Leggere le sue poesie era proibito, scomparve dalla stampa per quindici anni. Ma, in realtà, il poeta così voleva essere chiamata non aveva mai smesso di comporre: Achmatova lavorava in segreto, affidando i suoi versi alla propria memoria e a quella di pochi fidati amici, l'unico luogo in cui poter custodire ciò che si aveva di più caro.

Proprio in questo periodo di silenzio coatto, tra il 1925 e il 1940 nacque la raccolta Il giunco: la pianta, che racchiude in sé molteplici allusioni alla tradizione letteraria dal mito di Orfeo ed Euridice alla Commedia di Dante simboleggia la poesia stessa, che rinasce dal sangue degli anni del Terrore e risuona di un canto nuovo.

La raccolta fu pubblicata quattro volte durante la vita dell'Achmatova, ma i lettori non la conobbero mai nella sua interezza: la censura la mutilò e impedì all'autrice di pubblicare tutti i versi che avrebbe voluto. Ciononostante, quando vide la luce, le copie andarono a ruba in poche settimane, a testimonianza che il popolo non l'aveva mai dimenticata.

Il grande poeta e caro amico Boris Pasternak definì Il giunco un «grande trionfo» e le disse con stupore che sembrava quasi opera di un «nuovo artista», tanto era sorprendente: «Il vostro nome quest'estate significa di nuovo tutto ciò che significava un tempo, e questo è certo, ma significa anche qualcosa di nuovo e di straordinariamente più grande, un qualcosa che avevo notato l'ultima volta, ma da solo, e che ancora non avevo osservato accanto a quella che siete stata un tempo». Dopo che nel 1946 venne espulsa dall'Unione degli scrittori per disimpegno politico con l'accusa di essere «a volte suora, a volte sgualdrina, anzi suora e sgualdrina insieme», venne gradualmente riabilitata negli anni Cinquanta.

Morì nel 1966 a Mosca, dopo aver ricevuto premi internazionali, segno che la sua voce aveva superato i confini di quella terra che non aveva mai voluto abbandonare. Pubblichiamo qui due liriche del Giunco, inedite per il lettore italiano.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica