I vescovi: diritto-dovere di intervenire

L’obiettivo è ricostruire il fronte trasversale sperimentato sulla fecondazione artificiale

da Roma

Chi vuole convivere «dando vita a coppie etero od omosessuali, è libero di farlo», ma questa scelta «non può giustificare l’attribuzione di diritti assimilabili» a quelli del matrimonio. Mentre si avvicina la scadenza per la presentazione del disegno di legge del governo sul riconoscimento delle unioni di fatto e s’infittiscono i contatti a ogni livello per cercare mediazioni accettabili in grado di trovare il consenso più vasto possibile, la Chiesa torna a farsi sentire attraverso le parole del segretario della Conferenza episcopale italiana, il vescovo Giuseppe Betori, che pubblica un intervento sull’argomento nel numero del settimanale Famiglia Cristiana in edicola domani.
Ancora una volta, la Chiesa italiana esprime tutta la sua contrarietà a riconoscimenti giuridici che determinino l’esistenza di matrimoni di serie B. Un giudizio già espresso con estrema chiarezza due giorni fa dal quotidiano Avvenire in un editoriale dal significativo titolo «non possumus». Betori, dopo aver ricordato che la Chiesa «annuncia la bontà e la bellezza del progetto di Dio sull’uomo e sulla donna chiamati, nella loro complementarietà, a dar vita a quella culla dell’amore che è la famiglia fondata sul matrimonio, luogo di cura reciproca, di accoglienza della vita, di costruzione della società», difende il diritto di parola e di intervento su questi temi. «La famiglia come luogo primario della realizzazione della persone e come nucleo sorgivo della stessa società civile - scrive il segretario della Cei - è al centro anche della dottrina sociale della Chiesa, per cui non solo non ci si può sottrarre dall’affrontare le grandi questioni che toccano il ruolo sociale della famiglia, ma si ha il diritto-dovere di intervenire di fronte a ipotesi legislative che ne minano alla radice il valore».
Secondo Betori il dibattito in corso in Italia «ci offre una preziosa occasione per riflettere sul valore e sul significato del matrimonio e della famiglia, non solo dal punto di vista della fede, ma anche dal punto di vista antropologico, sociale e culturale», dato che «è largamente condivisa e condivisibile su base razionale la visione della famiglia come struttura fondamentale per la persona e per la società e quindi come bene che questa deve tutelare per il suo stesso sviluppo».
«Chi intende convivere - puntualizza il segretario della Conferenza episcopale - dando vita a coppie etero od omosessuali, è libero di farlo e in questo modo non ha impedimenti né subisce alcuna discriminazione; ma questa scelta non determina - spiega Betori - alcuna realtà di tipo parafamiliare e non può quindi giustificare l’attribuzione di diritti identici o assimilabili a quelli derivanti dall’unione coniugale fondata sul matrimonio». Riconoscere «alle unioni di fatto - conclude il segretario della Cei - diritti simili a quelli derivanti dal matrimonio determinerebbe pertando una inevitabile relativizzazione del modello familiare» favorendo «il propagarsi di una cultura sempre più individualistica».
In queste ore i contatti e gli scambi con i politici cattolici sono intensi: la Cei e la Segreteria di Stato sperano si possa ripetere in questa occasione quella convergenza trasversale che ha portato alla formulazione della legge 40 sulla procreazione assistita.

«Pensiamo si debbano ripensare le priorità - confida un autorevole prelato vaticano - e non discutere di aspetti secondari come le coppie di fatto dimenticando l’emergenza di politiche in favore delle famiglie. Ci sembra di cogliere in alcune forze politiche la volontà di una “rivincita” rispetto al risultato del referendum sulla fecondazione del giugno 2005».

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