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I «viola» stavolta contestano i giudici

Su via Corridoni tira una tramontana lucida che insieme alle polvere sottili spazza via gli incubi del centrodestra lombardo, la paura di ritrovarsi fuori da elezioni che sentiva già vinte. Ma perché gli uomini del Pdl possano rifiatare deve passare quasi una giornata intera, dentro la vecchia scuola privata appena riadattata a sede del Tribunale amministrativo regionale, dove ancora mancano i telefoni e dove qua e là i fili spenzolano. E mentre dentro si compie il destino di Formigoni e delle sue liste, sullo stretto marciapiede si gonfia e si sgonfia la piccola folla dei contestatori, del «popolo viola», dei comunisti, dei radicali che invocano dai giudici del Tar la conferma del colpo di scure che cinque giorni prima ha dimezzato il parco dei partenti alle elezioni fissate per il 28 di questo mese.
L’udienza davanti al Tar inizia di buon mattino, e si capisce subito che non sarà una cosa veloce: perché in soccorso ai radicali sono arrivati anche gli avvocati di tutte o quasi le altre liste, tutte solidamente interessate a gareggiare senza Formigoni tra le scatole, e ognuno dice la sua ai giudici; e ci sono ovviamente anche gli avvocati del governatore e quelli del Pdl, che si giocano una battaglia decisiva. «Prima dell’una non se ne parla», profetizza Giovanna Briccarello, florida ed estroversa segretaria del Tar, perfettamente a suo agio nel bailamme mediatico in cui l’affare l’ha bruscamente catapultata. Poi, strada facendo, i tempi si allungano, e all’una inizia solo la camera di consiglio. Gli avvocati fanno per uscire dal tribunale, ma si trovano la strada bloccata dalla Celere, perché via Corridoni è invasa dai contestatori. Che sono lì per contestare il decreto del governo, ma potrebbe invece sembrare che siano lì per una specie di contestazione preventiva ai giudici. Tanto che Basilio Rizzo, consigliere comunale della lista Fo, deve prendere il microfono per chiarire il concetto, «noi rispettiamo i giudici, la nostra manifestazione non è contro di loro». Alle 17,30 - quando esce la sentenza che ribalta tutto e rimette in corsa Formigoni - i contestatori se ne sono già andati, unendosi al corteo della lista di Nichi Vendola che va a sua volta ad unirsi al presidio del Pd in via Dante, e lasciano sul marciapiede davanti al Tar sei o sette militanti con grandi cartelli bianchi che dicono «la legge è uguale per tutti». E pazienza se non è del tutto chiaro come alla luce di questa parola d’ordine i manifestanti vivano la decisione dei giudici amministrativi che rimette in corsa le liste del centrodestra. «Per forza, si sono fatti un decreto su misura» brontola uno. In realtà il decreto non c’entra niente, i giudici non l’hanno tenuto in considerazione, anzi neanche l’hanno letto. Ma è inevitabile che nel caos del momento si faccia un po’ di confusione.
Tre giudici hanno escluso Formigoni, altri tre giudici lo hanno rimesso in gara. Stando così le cose diventa difficile fare il tifo pro o contro la magistratura, trasformare i presidi anti-decreto in una replica dei girotondi che ai tempi di Mani pulite coccolavano il Palazzo di giustizia.

«In queste ore subiamo delle pressioni ma non ce ne faremo condizionare», aveva detto alla vigilia Piermaria Piacentini, presidente del Tar. Ma già sapeva, che qualunque decisione avessero preso i suoi giudici, a qualcuno sarebbe rimasta sul gozzo.

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