Strategicamente parlando, la sua mossa più decisa contro la malavita resta lintervista concessa alla Ventura, nella ben nota austerità di «Quelli che...». Napoli non merita questa fama, i napoletani sono onesti, stiamo facendo grandi cose: in sostanza, uno stridulo sfogo per dire che si stanno inventando tutto i malevoli detrattori dei giornali. Lindomani, lunedì, eccola però costretta a sospendere la fondamentale seduta del consiglio comunale: mancano i consiglieri, quasi tutti corsi con largo anticipo a Napoli-Juve. Del resto, è la Iervolino la prima a dire che non esiste motivo per preoccuparsi.
Evidente: visto il periodo, a Napoli servirebbe un sindaco forte, visibile, presente. Non un sindaco negazionista. Basterebbe un sindaco che interpreti il sentimento della città, che si faccia carico delle paure e delle tensioni, che possibilmente fornisca qualche idea per restituire un minimo di fiducia alla cittadinanza confusa e smarrita. Un sindaco che ci metta la faccia. Anche solo per dire, con onesto realismo, figli miei, non resta che pregare San Gennaro.
Sì, in questo periodo Napoli avrebbe bisogno di un sindaco così. Per quelli che hanno votato centrodestra sono soddisfazioni del cavolo: troppo facile, adesso, rinfacciare che il loro candidato Franco Malvano, battuto a furor di popolo (57-43) nelle ultime elezioni, era pur sempre un ex questore, dunque esperto di malavita e sicurezza. Va detto tranquillamente: il momento è troppo serio per farne una questione di destra e sinistra. Bisogna restare ai fatti: a Napoli servirebbe un grande sindaco, invece cè la Iervolino. Cioè una brava donna, una santa donna, però sempre e immancabilmente seduta in un posto spropositato, davanti a problemi enormemente più grandi di lei. Difficile spiegare perché. Forse è solo per una banale questione di discendenza: essendo figlia di Angelo Raffaele Iervolino, ministro nei governi De Gasperi, tutti quanti si sono convinti che non la si potesse umiliare con cariche secondarie. Eccola così comparire, nel corso di una luminosa carriera democristiana, nei luoghi più impensati. Restando ai meno lontani, per citare esempi: durante il primo governo Amato, è ministro dellIstruzione. Tra le altre cose, dispone il ritiro di un fumetto anti-Aids che ha come protagonista il sovversivo «Lupo Alberto», giudicato pericoloso perché informa gli studenti delle scuole superiori sulluso del preservativo.
Più in là, è padre nobile (la Iervolino, non Lupo Alberto) della rinnovata Dc di Mino Martinazzoli, poi Partito popolare. Purtroppo, si sa come va a finire. Con le dimissioni di Martinazzoli nel marzo 1994, Donna Rosa assume lincarico di reggente del partito: tutto il peso di una storia gloriosa sulle sue povere spalle. Forse per non restarne schiacciata, nel '96 ritiene giusto e strategico scaricare questo peso dentro la casa dellUlivo di Romano Prodi. Loperazione, almeno personalmente, porta indubbi vantaggi: dopo le elezioni, diventa persino ministro degli Interni nel governo DAlema. In quei giorni, dilagano le ironie a basso costo: agli Interni serviva un uomo forte.
Comunque non ci piove: per una signora che vanta una simile collezione di nomine incredibili, trovarsi pure a fare il sindaco di Napoli non è poi così stravangante. Il problema, adesso, è che batta un colpo. Fino a qualche tempo fa, problema contrario: Donna Rosa sbucava da tutti gli angoli. Sempre in prima fila nei giorni del grande bluff, della più riuscita patacca che la pur creativa Napoli abbia mai piazzato sul mercato, questa città ripulita, ricostruita, rifiorita (memorabili gli orologi di plastica regalati ai turisti per impedire i furti di quelli veri). Lei e il sodale Bassolino a spacciare per il mondo la pulcinellata del Rinascimento e della ritrovata centralità mediterranea. Come se tutti quanti, arrivando a Napoli, non ritrovassimo immancabilmente questa bellissima città in preda alle abitudini e ai ritmi di sempre: il contrabbandiere, il venditore abusivo, il posteggiatore abusivo, il taxista abusivo...
Adesso che il Rinascimento è già rimorto, la sindachessa scantona. Sfilano tutti, sfila persino quella stupenda faccia dangelo chiamato Bassolino, come se lui a Napoli ci fosse arrivato per la prima volta ieri sera, ignaro e sorpreso di una simile situazione. Sfilano ministri e sottosegretari. Sfilano assessori e questurini. Anche solo per dire qualche fregnaccia di circostanza. Tutti provano a fare qualcosa, lei no. Dovrebbe stare costantemente in trincea, invece latita. Davanti a cotanto sfacelo, con la città sulle prime pagine di tutto il mondo, storico il suo scatto dorgoglio contro Giorgio Bocca. Il glorioso giornalista, notoriamente bieco razionario, sè permesso di scrivere sullEspresso, notoriamente giornale anchesso bieco e reazionario, che «a Napoli ha vinto la camorra». Sdegnatissima la reazione di Donna Rosa: «La smettano di gettare fango su questa città». Evidentemente vuole essere libera di sommergerla lei con i rifiuti. Inevitabile - se le va a cercare - la reazione del giornale reazionario: ma quale fango, «la Iervolino pensi alla spazzatura».
Tutto sommato, per trovare un altro intervento ficcante della sindachessa bisogna risalire molto indietro. Alla vittoria elettorale. Ecco che cosa si legge nella prima pagina del suo sito Internet, fermo a quel radioso giorno: «È una vittoria bella e forte, nata nei quartieri della periferia, nel cuore popolare della città, da San Giovanni a Teduccio fino a Bagnoli, passando per il centro storico. Non sono bastate le invasioni barbariche del Nord, non hanno avuto successo le sirene berlusconiane che promettevano improbabili sogni. La città ha dato fiducia a chi in questi anni ha lavorato con lena, per costruire le fondamenta della nuova Napoli.
Forse non è il caso di aggiungere altro. Rileggendo con calma, risulta finalmente chiaro perché in questo periodo la Iervolino sia così defilata. Sta facendo il sindaco di unaltra città.
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