IIl 21 aprile a Milano a Palazzo Mezzanotte il convegno europeo su economia e risparmi organizzato dalla Banca di Ennio Doris

Qualcuno paragona la congiuntura che stiamo attraversando a quella del 1929. In realtà il crollo del '29 fu determinato soprattutto dalle banche e dagli enti di controllo che, allo scoppio della crisi, restrinsero il credito pensando di rimediare agli eccessi compiuti in precedenza, ovvero alla concessione troppo facile di prestiti. Con questa mossa provocarono una crisi industriale spaventosa. Da allora molto è stato fatto in materia di gestione globale dell'economia. Adesso le autorità centrali si comportano in maniera opposta: durante un periodo di depressione, rendono il credito più accessibile e abbassano i tassi. Nell'economia americana, che è molto flessibile, e dunque reattiva, questo ha sempre funzionato. Attraverso la riduzione dei tassi (e delle tasse) infatti, e dando così impulso alla crescita, nel periodo successivo si ottiene sviluppo e di conseguenza un rialzo dei mercati.
Quella attuale può essere paragonata alla crisi del 1907: come allora, la recessione non nasce in àmbito industriale, bensì bancario. Quest'ultimo ha infatti esagerato, prima con i mutui subprime, poi con la finanza creativa. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Gli istituti centrali, oltre ad abbassare i tassi, sono dovuti intervenire sia in Europa sia in America risolvendo le questioni più spinose, vedi NorthernRock in Inghilterra e Bear Stearns in America.
Anche le fonti energetiche giocano un ruolo rilevante nell'economia e quindi nella finanza, e si sta facendo molto per il loro risparmio. Ma esse condizionano fino a un certo punto. Il rincaro del petrolio agisce sui consumi, il denaro speso, per esempio, per i trasporti, non può essere impiegato in altro modo. Più la spesa energetica sale, più la sua incidenza di breve periodo è negativa. Ma le crisi petrolifere che si sono succedute a partire dal 1973, hanno dato origine a due tendenze ormai consolidate. In primo luogo sono apparsi sul mercato prodotti che consumano meno, vedi le automobili. Vengono pubblicizzate auto che fanno 25 chilometri con un litro di carburante. In secondo luogo le aziende hanno investito molto per risparmiare energia, hanno diminuito i costi energetici e hanno puntato sullo sviluppo di fonti alternative. Se nel breve periodo l'elevato prezzo del petrolio ha conseguenze negative, nel lungo ha esiti positivi. Sembra un paradosso, ma non lo è: rincari ripetuti spingono a cercare fonti diverse, a sganciarsi dalla dipendenza dal petrolio. I Paesi industrializzati riducono così in proporzione la loro subordinazione ai Paesi che il petrolio lo producono. Vent'anni fa il petrolio pesava quasi per il cinquanta per cento nell'economia, adesso incide per circa un terzo.
Dunque non tutto il male viene per nuocere. Il prezzo elevato del petrolio ci fa capire che bisogna puntare sulle fonti alternative. E la contrazione del mercato sta creando, come in passato, occasioni convenienti per l'investimento.
Ciò non significa che la situazione non sia molto complessa.

E questa è una delle ragioni per cui abbiamo organizzato il secondo Market Forum: per coinvolgere industriali, economisti, esperti nello sforzo di fornire al consumatore chiarimenti, pareri e giudizi su quanto sta succedendo.

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