Gli imam arruolano kamikaze: vendicate Maometto

Guido Mattioni

Non più soltanto gli slogan isterici di una folla anonima e intrisa d’odio. E nemmeno quell’isteria collettiva e rituale vista ormai troppe volte: barbuta o velata, ma comunque senza volto. Ieri la promessa di morte, precisa e circostanziata, è arrivata ufficialmente, in conferenza stampa, sotto le luci delle telecamere e davanti ai bloc notes dei reporter. E a voce minacciosamente alta.
«I blasfemi che oltraggiano il profeta Maometto non vivranno più grazie a dei mujaheddin che sono venuti da me assicurandomi che quelle persone non potranno più essere autorizzate a vivere dopo atti così imperdonabili», ha scandito con l’indice al cielo Yousef Quraishi, imam della moschea di Mohabat Khan a Peshawar, capoluogo dell’ultraconservatrice provincia del Nord Ovest.
«I mujaheddin kamikaze che mi hanno contattato sono pronti a passare all’azione», ha precisato ancora il capo religioso, quasi a voler sottolineare che i tempi della vendetta annunciata contro gli «infedeli» si sono fatti ormai anche stretti. Terribilmente stretti. Quraishi è lo stesso imam che la settimana scorsa aveva offerto una taglia di un milione di dollari a chi avesse dato la morte ai vignettisti danesi che avevano avuto la pessima idea di rivolgere le proprie matite contro la barba del Profeta.
Tuttavia, per scongiurare l’epilogo sanguinoso o esplosivo della vicenda delle vignette satiriche, esisterebbe ancora una via d’uscita, ha detto l’imam. L’alternativa consisterebbe in un processo per blasfemia nei confronti dei disegnatori nordeuropei, ma da svolgersi in base alle regole della legge islamica.
Quraishi, che non ha tuttavia precisato né dove dovrebbe aver luogo un simile processo, né chi sarebbe eventualmente chiamato ad applicarne la sentenza, è considerato molto vicino alla Jamaat-i-Islami, una delle principali formazioni che danno vita alla Muttahid Majlis-e-Amal (Mma), la coalizione di partiti islamici che si oppongono al governo filo occidentale del presidente pachistano Pervez Musharraf.
È quasi certo che ci sia stata la regia dello stesso imam anche dietro i numerosi cortei anti occidentali che la scorsa settimana hanno infiammato le maggiori città del Paese, provocando cinque morti tra cui un bambino. Manifestazioni dello stesso tenore di quelle svoltesi ancora ieri: una a Larnaka, importante città meridionale a circa 300 chilometri di Karachi e una a Islamabad, che ha portato in strada 600 donne. Più imponente, di certo, è stato il corteo di Larnaka, con circa 10mila persone inneggianti alla guerra santa, tra roghi di bandiere danesi e urla di morte contro i dissacratori del profeta. La manifestazione ha costituito però l’occasione per una protesta politica, oltre che religiosa. Una sfida «muscolare» contro il governo Musharraf portata ieri, oltre che dall’Mma, anche dal Partito Popolare del Pakistan guidato dall’ex primo ministro in esilio, la signora Benazir Bhutto.
La Croce rossa italiana ha disposto il rientro urgente del personale italiano in Pakistan.
Sempre ieri, in un’altro luogo caldo del rancore musulmano, a Teheran, si sono conclusi senza incidenti i sit-in con duecento studenti davanti alle ambasciate di Italia e Francia. Cori contro l’ex ministro Roberto Calderoli, definito negli striscioni «provocatore e sostenitore dell’islamofobia». Bruciate le bandiere italiana, francese, americana, tedesca e israeliana.


In Africa, invece, non accennano a finire gli scontri interreligiosi che stanno infiammando la Nigeria, dove è salito a 19 il numero di musulmani vittime di scontri con manifestanti cristiani soprattutto a Onitsha, nello stato di Anambra, nel sud del Paese, dove sono state date alle fiamme due moschee.

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