La «Ditta» è salva, Bersani esulta per un successo «inaspettato per proporzioni », annuncia di sentire «profumo di sinistra» ma ringrazia Renzi per «aver reso vere queste primarie». E ora nel Pd iniziano i riposizionamenti. Perché la squadra del vincitore, in queste settimane, si è sotterraneamente divisa in due partiti: quello del «non faremo prigionieri», che ha vissuto l’irruzione di Renzi come un rischio mortale per gli equilibri di potere interni, e che vede nella sconfitta l’occasione per stroncare sul nascere la «anomalia ». E quello degli aperturisti, che invece vogliono usare la «risorsa Renzi» per rafforzare, e un coinvolgimento del giovane sindaco nel futuro del Pd e della coalizione. Un partito nel quale, a sorpresa, si inserisce anche l’antagonista simbolo del rinnovamento renziano, ossia D’Alema. Che ieri è stato il primo a dare la linea: «Il consenso di Renzi è fondamentale per andare al voto». L’ex premier non ha certo cambiato sentimenti nei confronti di Renzi (anche se ora i suoi prevedono più in discesa, per lui, quel futuro alla Farnesina che Vendola ha preannunciato), ma D’Alema è anche colui che, in Puglia, si è scontrato duramente due volte, sia pur indirettamente, con il leader di Sel, incassando peraltro sonore sconfitte. Ma che poi, con il governatore di Puglia, ha non solo trovato una salda intesa locale, ma gli ha anche riaperto le porte dell’intesa elettorale, alle condizioni del Pd. Con il risultato finale di neutralizzare la spinta dirompente che, un anno fa, veniva attribuita a Vendola, che ora accetta il ruolo di collettore dei propri voti militanti sul segretario del Pd.
Col partito «inclusivista», sulla linea dalemiana, si schierano i dioscuri Fassina e Orfini, che pochi giorni fa diceva al Foglio : «Dal giorno dopo sarà come Obama e la Clinton ». Un parallelo, quello Usa, ripreso ieri da Franceschini, che aggiunge: «Quello di Renzi è un bel patrimonio, da spendere nel Pd». Anche il vice segretario Letta è su questa linea, e con lui il direttore dell’ Unità Claudio Sardo («Ora Bersani e Renzi lavoreranno insieme», scriveva ieri), il cattolico Follini e la laica Paola Concia, un «tecnico» corteggiato per il futuro governo come Fabrizio Barca, il candidato del Lazio Zingaretti ma anche Stefano Di Traglia e l’emiliano Errani, eminenze grigie bersaniane e mediatori tra i due staff. E poi c’è Walter Veltroni,dal cui Lingotto molto ha mutuato Renzi, e Goffredo Bettini.
Prodi e- ovviamente- Napolitano non si sono pronunciati, ma va notato che gli esponenti Pd a loro più affini (Parisi per l’ex premier, Ranieri e De Giovanni per il presidente) sono in campo per Renzi: difficile che i due «grandi vecchi» non ne vedano di buon occhio il coinvolgimento.
E poi c’è il partito di chi ieri brindava estasiato immaginando la testa di Renzi appesa alla picca, e che ora non intende avallare generosità verso lo sconfitto: né nelle liste elettorali, né nel governo futuro, né nel partito. L’icona di questa linea è Rosy Bindi, e con lei le altre due «amazzoni» bersaniane, e future deputate, Chiara Geloni e Alessandra Moretti.
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