Politica

Imbarcare Renzi o no: i problemi di Bersani sono appena iniziati

Tra i fedelissimi di Pier Luigi è già scontro sul futuro del sindaco. Che trova uno sponsor a sorpresa: D’Alema

Pier Luigi Bersani abbraccia Ignazio Marino al teatro Capranica a Roma
Pier Luigi Bersani abbraccia Ignazio Marino al teatro Capranica a Roma

La «Ditta» è salva, Bersa­ni esulta per un succes­so «inaspettato per pro­porzioni », annuncia di sentire «profumo di sinistra» ma ringra­zia Renzi per «aver reso vere queste primarie». E ora nel Pd iniziano i riposizionamenti. Perché la squadra del vincito­re, in queste settimane, si è sot­terraneamente divisa in due partiti: quello del «non faremo prigionieri», che ha vissuto l’ir­ruzione di Renzi come un ri­schio mortale per gli equilibri di potere interni, e che vede nel­la sconfitta l’occasione per stroncare sul nascere la «ano­malia ». E quello degli aperturi­sti, che invece vogliono usare la «risorsa Renzi» per rafforzare, e un coinvolgimento del giovane sindaco nel futuro del Pd e della coalizione. Un partito nel qua­le, a sorpresa, si inserisce an­che l’antagonista simbolo del rinnovamento renziano, ossia D’Alema. Che ieri è stato il pri­mo a dare la linea: «Il consenso di Renzi è fondamentale per an­dare al voto». L’ex premier non ha certo cambiato sentimenti nei con­fronti di Renzi (anche se ora i suoi prevedono più in discesa, per lui, quel futuro alla Farnesi­na che Vendola ha preannun­ciato), ma D’Alema è anche co­lui che, in Puglia, si è scontrato duramente due volte, sia pur in­direttamente, con il leader di Sel, incassando peraltro sono­re sconfitte. Ma che poi, con il governatore di Puglia, ha non solo trovato una salda intesa lo­cale, ma gli ha anche riaperto le porte dell’intesa elettorale, alle condizioni del Pd. Con il risulta­to finale di neutralizzare la spin­ta dirompente che, un anno fa, veniva attribuita a Vendola, che ora accetta il ruolo di collet­tore dei propri voti militanti sul segretario del Pd.
Col partito «inclusivista», sul­la linea dalemiana, si schiera­no i dioscuri Fassina e Orfini, che pochi giorni fa diceva al Fo­glio : «Dal giorno dopo sarà co­me Obama e la Clinton ». Un pa­rallelo, quello Usa, ripreso ieri da Franceschini, che aggiunge: «Quello di Renzi è un bel patri­monio, da spendere nel Pd». Anche il vice segretario Letta è su questa linea, e con lui il diret­tore dell’ Unità Claudio Sardo («Ora Bersani e Renzi lavore­ranno insieme», scriveva ieri), il cattolico Follini e la laica Pao­la Concia, un «tecnico» corteg­giato per il futuro governo co­me Fabrizio Barca,
il candidato del Lazio Zingaretti ma anche Stefano Di Traglia e l’emiliano Errani, eminenze grigie bersa­niane e mediatori tra i due staff. E poi c’è Walter Veltroni,dal cui Lingotto molto ha mutuato Renzi, e Goffredo Bettini.
Prodi e- ovviamente- Napoli­tano non si sono pronunciati, ma va notato che gli esponenti Pd a loro più affini (Parisi per l’ex premier, Ranieri e De Gio­vanni per il presidente) sono in campo per Renzi: difficile che i due «grandi vecchi» non ne ve­dano di buon occhio il coinvol­gimento.
E poi c’è il partito di chi ieri brindava estasiato immaginan­do la testa di Renzi appesa alla picca, e che ora non intende avallare generosità verso lo sconfitto: né nelle liste elettora­li, né nel governo futuro, né nel partito. L’icona di questa linea è Rosy Bindi, e con lei le altre due «amazzoni» bersaniane, e future deputate, Chiara Geloni e Alessandra Moretti. C’è il nu­trito gruppo degli ex Ppi che hanno combattuto l’eresia ren­ziana, da Franco Marini a Pep­pe Fioroni; e c’è la Cgil di Susan­na Camusso.

Gli uomini delllo staff (Stumpo, Speranza) e i cu­stodi dell’ortodossia alla Rei­chlin; i sindaci movimentisti.

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