Gli immigrati vogliono fare i politici

Diritto di voto attivo e passivo. Se il decreto che consentirà agli immigrati di ottenere la cittadinanza in cinque anni diventasse legge, per molti stranieri si aprirebbero le porte della politica. E c’è chi non esclude un coinvolgimento in prima persona, come Abdel Hamib Shaari, presidente dell’Istituto culturale islamico di Viale Jenner: «La prima cosa che chiederei sarebbe l’apertura di una grande moschea a Milano, che diventi un punto di riferimento per i musulmani del Nord. Poi l’introduzione della lingua araba e dell’insegnamento dell’Islam nelle scuole».
Pronto a scendere in campo anche Augustin Mujyarugamba, presidente degli imprenditori immigrati in Lombardia: «La partecipazione politica è un obbligo che ora ci troviamo di fronte». Aimon Maricos, eritrea, consigliere comunale diessina durante la prima giunta Albertini definisce l’idea di creare un partito degli immigrati «un’ipotesi ricorrente ma infelice. Non escludo, tuttavia, che qualcuno torni a riproporla».


Intanto c’è chi ora si troverà di fronte a una scelta difficile. Alcune comunità, come quella cinese, non potranno tenere la doppia nazionalità perché il Paese d’origine lo vieta: «In molti preferiranno rimanere “stranieri” in Italia, per poter tenere un legame con le loro origini».

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