Ve lo stiamo spiegando con dati, percentuali, ragionamenti. La battaglia elettorale si gioca soprattutto in Liguria, dove il premio di maggioranza regionale al Senato, che assegna cinque seggi ai vincitori, contro i due (tre in caso di miracoli) agli sconfitti, potrebbe essere decisivo ai fini della governabilità a Palazzo Madama nella prossima legislatura. Governabilità che necessità di numeri ampi anche perchè, come ha argutamente scritto in una lettera nei giorni scorsi il nostro caro lettore Giglio Reduzzi, si parte da meno sei, i voti dei senatori a vita, che difficilmente diventeranno paladini del berlusconismo dopo essere stati il puntello del prodismo nella scorsa legislatura.
Liguria decisiva, quindi. E Imperia ancor più decisiva. Lo dimostra, ad esempio, la lista del Partito democratico al Senato che ha dato per scontati i voti spezzini - relegando in una posizione difficile a Montecitorio un ottimo sottosegretario come Lorenzo Forcieri - puntando tutto su quelli imperiesi e candidando la poco conosciuta consigliera comunale ponentina Brunella Ricci al posto numero cinque della lista, quello di frontiera, su cui si giocano le carte migliori. Scusate questi tecnicismi, ma è questa legge elettorale che fa veramente schifo e che va spiegata in continuazione.
Il primo segnale, quindi, erano state le liste. E il resto è venuto di conseguenza. Un attacco concentrico delle sinistre ad Imperia, che di sinistra non è mai stata. Nè nella prima Repubblica, quando era orgogliosamente democristiana, nè oggi che è azzurra e del Pdl. Lattacco arriva da vari fronti, persino da quello della Sinistra Arcobaleno, il cui capolista in Liguria, il siciliano Orazio Licandro, se lè presa con Claudio Scajola perchè aveva detto in una bella intervista al nostro Giornale che il re è nudo, che Veltroni e DAlema sono in politica da una vita. Niente di offensivo, peraltro. «Scajola è un democristiano sin dalla culla, visto che al battesimo la sua madrina fu la figlia di Alcide De Gasperi». A me non sembra una colpa tanto grave.
Ma Licandro, per lo meno, viene da un partito il cui segretario voleva portare a casa la salma di Lenin e che annovera fra le sue file frotte di ammiratori di Fidel Castro. Fa più specie che gli attacchi arrivino dai moderati del Pd, che hanno fatto della battaglia di Imperia lo scontro della vita, una specie di finale di Champions League al sugo di noci.
Lha spiegato per primo il segretario ligure del Pd Mario Tullo - che peraltro sa essere anche una persona ragionevole e con cui è assolutamente possibile discutere e confrontarsi - parlando della necessità di «descajolizzare» il ponente ligure. Lha confermato Walter Veltroni scegliendo di inserire nel suo viaggio in Italia limperiese, peraltro evitando il capoluogo, ma scegliendo la più allineata Sanremo, dove ha riempito piazza Colombo.
Ma è stata Giovanna Melandri a superarsi, proprio a Sanremo. Dove il Pdl, ovviamente colpevole di aver «sabotato le riforme», è diventato semplicemente e ripetutamente «il partito di Scajola». La ministra più amata dai rotocalchi ha poi spiegato, dimostrando che lei non è certo una paracadutata ma è preparatissima sulla realtà ligure, che «in provincia di Imperia, al feudalesimo di Scajola, preferiamo un dinamismo rinascimentale».
Poi la Melandri ha aggiunto che qui la sfida è importante «perchè la Liguria è una delle regioni in cui maggiormente ci giochiamo il nostro risultato elettorale». E, almeno su questo, ha detto la verità.
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