Cantava il poeta che «dal letame nascono i fiori». Ecco, è accaduto. Questa che nasce come una brutta storia e ora che è finita non lo è più. Una cosa puntualmente natalizia. Qualcuno che ha sofferto. Qualcuno che ha vinto una battaglia legale. Qualcuno che ha deciso di condividere la propria vittoria. Rinunciando ai soldi. Per trovarsi, alla fine, in qualche modo più ricco.
Storia di unimpiegata. Anzi, storia della dirigente di una banca daffari, a cui il giudice ha riconosciuto un risarcimento di 50mila euro per due anni dinferno vissuti ai margini del proprio ufficio, e tutto per «colpa» della maternità. «Mobbing», si chiama. Una parola che non esiste nel codice penale, ma che si può declinare come maltrattamenti, lesioni volontarie, violenza privata. Raccontano gli atti del processo che tutto è iniziato quando la donna ha annunciato di aspettare un figlio. E il gergo giuridico ricostruisce due anni di «demansionamento e defunzionalizzazione», di «isolamento lavorativo e fisico» e di «umiliazioni professionali e umane» che le hanno causato «uno stato di evidente avvilimento, prostrazione e sofferenza psicofisica» tali da «rendere abitualmente mortificanti e dolorose» le relazioni sul lavoro, e provocarle un «disturbo delladattamento cronico con ansia e umore depresso misti». Lultima offesa, nel novembre del 2003. Le danno come ufficio una stanza vuota senza telefono né computer.
Poi la giustizia arriva. Così, ieri, il tribunale condanna a 4 mesi di reclusione (convertiti in una multa di 4mila e 500 euro) i tre manager dellistituto di credito, oltre a fissare il maxi risarcimento. Ma lei, la dirigente, va ben oltre. Si chiama eleganza, altruismo e - a pensarci - pure smacco morale per i tre colleghi.
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