Impossibile divertirsi in un inferno di dolore

È uno sciocco moralismo credere o pretendere che il dolore si accompagni al dolore, che la sofferenza non possa che avere accanto a sé l’assenza di gioia degli altri, che insomma, in un mondo di lacrime non ci sia spazio per il divertimento?

È uno sciocco moralismo credere o pretendere che il dolore si accompagni al dolore, che la sofferenza non possa che avere accanto a sé l’assenza di gioia degli altri, che insomma, in un mondo di lacrime non ci sia spazio per il divertimento? Il mondo a cui faccio riferimento è Haiti: penso al terremoto che ha colpito l’isola, alla devastazione le cui immagini sono in apertura di tutti i mezzi di informazione.
Ma a pochi chilometri dalle distruzioni adesso vediamo, attraverso televisioni e fotografie di giornali, spiagge dorate, frequentate da bagnanti in cerca di sole e di svago. Immagini che non solo contrastano con quelle di morte provocate dal terremoto, ma che entrano in uno stridente conflitto con i sentimenti più semplici di ciascuno di noi.
Veniamo coinvolti dagli sguardi di bambini smagriti, impauriti che vagano come piccoli fantasmi tra le macerie; siamo impressionati dai corpi senza vita abbandonati sulle strade, e tutto intorno devastazione, miseria, sporcizia. Però, a pochi chilometri dalla catastrofe, ecco apparire il mare, la spiaggia, corpi seminudi che fanno pensare a tutto fuorché al dolore e alla morte. Come se niente fosse accaduto là vicino. Ma sì: che la vita continui! Certo, ma in un altro modo.
Quello che sottolinea la contemporanea presenza di immagini del terremoto con la loro tragedia, e quelle delle spiagge haitiane con il loro sensuale divertimento è la mancanza di pudore e di pietà. Il pudore è un sentimento arcaico per la nostra modernità: è diventato un sentimento con cui si caratterizza il perdente. Lo spudorato, lo sfrontato è colui che si fa avanti nella vita, mentre chi ha pudore, cioè coscienza dei limiti che devono avere le proprie esibizioni, finisce per essere l’emarginato.
E veniamo alla pietà, cioè alla compassione per gli infelici, alla misericordia che fa partecipare al dolore altrui. Dante ci dice che la prima, fondamentale caratteristica dell’Inferno è l’assenza di pietà. In quelle spiagge haitiane in cui ci si gode la vita, Dante avrebbe visto l’Inferno. Noi, per ben che vada, ci stupiamo, e tollerante come ci ha insegnato ad essere la nostra modernità, accettiamo senza scandalo quelle immagini seducenti. Ma questa tolleranza è sbagliata, il suo messaggio è profondamente ingiusto e crudele.

Ad Haiti ci sono tanti volontari accorsi perché conoscono la pietà, e poiché nelle situazioni drammatiche che seguono un terremoto la solidarietà è decisiva per arginare le conseguenze del disastro, la correttezza della comunicazione, dei messaggi che vengono trasmessi al mondo è essenziale per non trasformare una tragedia in un Carnevale.
Come si possono chiedere aiuti, soldi, sacrifici alle persone se a pochi chilometri dal terremoto c’è chi si diverte come se il dolore degli altri non lo riguardasse minimamente?

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