Centri massaggi a luci rosse, ristoranti in cui le norme igieniche sono un optional, giocattoli fuori norma, borse tarocche fatte di plasticaccia, oggettini kitsch di ogni tipo. Ecco il volto della Cina che siamo abituati a vedere, a Chinatown e in quasi tutti i quartieri della città. Un mondo fatto di sequestri, sanzioni, merce falsa, laboratori clandestini, minori sfruttati.
In realtà la Cina è anche altro. È anche eccellenza, aziende serie, lusso autentico e nientaffatto farlocco. A Milano esistono varie realtà valide, consolidate, dove i dipendenti sono tutti in regola e non vengono sottopagati. Imprese internazionali che assumono anche italiani e che non si limitano certo al negozietto di via Paolo Sarpi. «La Cina a Milano - spiega Claudio Rotti, vicepresidente di Promos Camera di Commercio ed esperto dei rapporti tra Italia e Cina - non è fatta solo di cianfrusaglie. Ci sono anche tanti manager cinesi che hanno investito ed aperto aziende di abbigliamento, di arredo, di nuove tecnologie a livelli molto alti. Qualcuno ha anche acquisito le aziende italiane e quindi ha dipendenti della zona». Società con nomi impronunciabili, che a noi spesso non dicono niente ma che hanno fatturati notevoli e sono leader in Cina. È il caso della S-mind di via Varese, marchio di abbigliamento con il fatturato più alto. O della Huawei Technologies Italia srl, con sede a Milano due. Cè la Bank of China, in pieno centro a Milano, e la Chiu ting sin, produttrice di borse, iscritta alla Camera di Commercio dal 1966. «È un peccato - spiega un imprenditore - che la gente pensi che i cinesi siano solo venditori ambulanti o lavoratori chiusi nei laboratori sotterranei. Cè anche quellaspetto, è vero, ma siamo anche capaci di gestire aziende e affari internazionali».
Idem nel settore della ristorazione. Fra tanti locali costretti a chiudere per problemi di igiene, cè invece chi spicca. È il caso dellazienda Union Trade (in passato Union China), che fornisce prodotti alimentari, cinesi e non solo, anche ai nostri supermercati, da anni, rispettando tutte le procedure di conservazione dei cibi. E poi ci sono i ristoranti di lusso, dove i prezzi sono un po più alti rispetto ai menù fissi da 20 euro, ma dove le norme igieniche in cucina sono ferree. «Rispettiamo le norme dellAsl - spiega Wei Jia del Giardino di Giada, in via Palazzo Reale -. Seguiamo le regole e sappiamo cosa succede se non le rispettiamo. Sappiamo che gli occidentali richiedono un certo livello di qualità e ci siamo adeguati. È vero che tanti ristoranti fanno i furbi e vanno avanti come credono finché non arriva il primo controllo, ma ce ne sono tanti altri che non seguono le norme igieniche perché non le conoscono. Non tutte le regole vengono tradotte in cinese e nelle cucine cè chi non sa nemmeno una parola di italiano».
Limprenditoria cinese a Milano passa da varie voci e negli anni ha subìto numerosi cambiamenti: dallOriente sono arrivati a Milano negli anni Novanta con bar e ristoranti e negozi di vestiti. Hanno preso in gestione le lavanderie (sempre di più quelle a gettoni). Poi, dal 2000 ad oggi, è stata la volta dei parrucchieri, dei massaggiatori e, sempre più, delle edicole.
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