Caro Granzotto, ero certo di aver messo tempo fa le mie impronte digitali su qualche documento e infatti ho ritrovato il «Foglio matricolare e caratteristico» del Distretto militare di Udine. In alto a destra ci sono due caselle dove cè scritto «Spazio per lidentità» e dentro ci sono le mie impronte. Come me milioni di italiani che, avendo fatto il servizio militare, hanno lasciato le proprie impronte come mezzo di identificazione. Quindi secondo me ha ragione Gasparri quando auspica che le impronte vengano prese a tutti, anche agli italiani. Daltronde sulla carta didentità cè la nostra fotografia e nessuno ne ha mai contestato luso come prova didentità. Lidentificazione con le impronte digitali è sicuramente più precisa e veloce e quindi non vedo perché ci si debba opporre. In fondo si tratta solo di una diversa applicazione tecnologica alla quale moltissimi italiani sono già stati sottoposti.
Ma certo, caro Calderari: abbiamo tutti il codice fiscale, la carta didentità, la tessera sanitaria. Qualcuno il passaporto, la carta di credito e quella dei buoni punti del supermercato. Il cellulare consente di localizzarci in ogni istante. Lasciamo centinaia, migliaia di impronte, seguendo le quali è un gioco da ragazzi risalire a ognuno di noi. Siamo, insomma, schedati (già al momento della nascita) e sotto continuo controllo. Ma lesserlo non è mai stata sentita una «umiliazione spaventosa», per usare le parole di Furio Colombo. E a nessuno, credo, è saltato mai in testa di assimilare il codice fiscale al numero di matricola tatuato sul braccio degli internati a Treblinka o a Dachau. O di ritenere la carta di identità «uno strumento disumano». Si dà inoltre il caso che lItalia non sia la propaggine di una puszta terra di nessuno, ma uno Stato di diritto. Dove non è consentito lanonimato anagrafico. Nemmeno a gruppi etnici come gli zingari, culturalmente avversi al documento didentità. La cultura islamica, per dire, contempla la lapidazione delladultera ma non per questo consentiamo ai nostri graditi ospiti maomettani di accoppare impunemente a sassate mogli o fidanzate infedeli. In mancanza di quale che sia documentazione idonea al riconoscimento, onde procedere al censimento e alla identificazione dei componenti di una comunità presente e operante entro i confini dello Stato, non restava dunque che affidarsi al «segno particolare» (voce che prima dellintroduzione generalizzata della fotografia compariva su ogni documento di identità). E il più particolare dei segni particolari è l'impronta digitale. La stessa che assieme a milioni ditaliani che hanno indossato il grigioverde lei, caro Calderari, ha lasciato sul foglio matricolare. La stessa che gli onorevoli deputati e senatori, tutta gente stimatissima, dovranno lasciare da qui a breve sui sensori dei marchingegni adottati per il voto in aula. E guarda un po, nelluno e nellaltro caso nessuno obbiettò o obietta che il farsi rilevare le impronte sia una «umiliazione spaventosa» o, come sostengono quelle verginelle di Famiglia cristiana, unangheria di stampo razzista (oltre tutto, quello delle Colombe e delle verginelle non mi pare sia il modo migliore per indurci ad amare e ritenere piezze core gli zingari.
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