Gian Marco Chiocci - Massimo Malpica
Alla fine ci si è arrivati in Vaticano. E a portarci l’inchiesta è stato direttamente Guido Bertolaso che ai Pm di Perugia ha fatto il nome del cardinale Crescenzio Sepe, ora arcivescovo di Napoli, fino a poco fa a capo della congregazione di Propaganda Fide. Sarebbe stato l’alto prelato a indirizzare il capo della protezione civile, nel 2003, prima al collegio universitario e, in seguito, al professor Francesco Silvano (ex dirigente Stet, già direttore dell’ospedale Bambin Gesù, ora vicinissimo alla Santa Sede) l’uomo che, stando al verbale di Bertolaso, avrebbe messo a disposizione di Mister Emergenza la famosa casa di via Giulia. Che, però, per quanto agli atti dell’indagine, non risulta essere di Propaganda Fide. Il proprietario è infatti Raffaele Curi, che ha spiegato ai Pm di aver preso i soldi dell’affitto dall’architetto Zampolini, il braccio destro di Anemone, che ha confermato.
Insomma, le due versioni divergono: perché il cardinale capo di Propaganda Fide e il manager suo collaboratore avrebbero affittato da privati una casa per offrirla a Bertolaso, all’insaputa di quest’ultimo, invece di sfruttare il ricco patrimonio immobiliare della congregazione? Questo è un mistero grande quanto una casa. Che l’indirizzo sia lo stesso lo ha confermato con i Pm lo stesso sottosegretario, mentre sulle date non tutto torna. Bertolaso sostiene di aver vissuto lì solo pochi mesi, tutti nel 2003. Il padrone di casa, Curi, il 14 maggio aveva dichiarato a Repubblica che l’inquilino eccellente era stato da lui per «un anno solo di contratto. Due anni fa». Dunque nel 2008. Con i Pm, però, Curi modifica l’arco temporale: «Incontrai l’architetto Zampolini nel 2003. Ha avuto in uso la casa fino al 2007». E ieri, ospitando la replica di Curi alle dichiarazioni di Bertolaso, Repubblica parla della casa di via Giulia «dove il sottosegretario ha alloggiato per circa due anni, dal 2003». Bertolaso ha occupato un appartamento (fino al 2003) che anche altri hanno poi utilizzato (fino al 2008)? Altra incongruenza è quella sulle utenze. Bertolaso ha detto di non aver mai pagato l’affitto perché l’amico Silvano gli aveva messo a disposizione la casa, ma di aver provveduto a pagare le bollette. Mentre sempre Curi ha sostenuto che le utenze le pagava Zampolini, e non sempre, visto che «mi sono trovato con un arretrato di luce, gas e acqua che ho dovuto pagare di tasca mia».
Intanto dal deposito degli atti di vari procedimenti penali (in parte andati a sentenza, in parte prescritti o archiviati) su irregolarità gravi nell’assegnazione degli appalti al ministero della Difesa fino al 2000, spuntano personaggi e società che oggi ritroviamo impantanati nel «sistema gelatinoso» di Balducci & co. Riferimenti messi a verbale cinque anni fa dal capo geometra del Genio, Franco Quilla. Che di fronte a opere di manutenzione gonfiate, falsi negli ordinativi, ristrutturazioni taroccate, interventi pagati il quintuplo del dovuto, ai carabinieri ha spiattellato il «sistema gelatinoso» dell’Ufficio Autonomo Lavori, il suo ufficio. Dalle carte prodotte spuntano imprese e personaggi che oggi sono d’attualità con l’inchiesta sui Grandi Eventi. A cominciare dalla Igit, che compare in 18 gare vinte, toccata dagli accertamenti su Don Bancomat, che oggi ritroviamo spesso «alleata» con Anemone in appalti oggetto delle investigazioni del Ros. Fra le denunce documentate da Quilla, definito dal magistrato con le stellette Giovanni Barone «persona corretta, assai scosso da queste vicende (...) che riguardavano irregolarità amministrative, lavori e fatturazioni gonfiate» ve n’è una sui lavori nell’appartamento privato dell’ex ministro Virginio Rognoni (già vicepresidente del Csm): «Mi venne detto - si legge nel verbale - che bisognava fare due capitolati per de lavori a casa del ministro. Quando chiesi se si poteva fare un sopralluogo, mi venne detto che non c’era bisogno perché bisognava fare tutto in segretezza. In pratica bisognava pagare senza fare verifiche e controlli». I lavori, continua Quilla, vennero fatti passare «dai nostri uffici come se fossero stati compiuti a più riprese in varie strutture militari». Anche in questo caso l’inchiesta non è andata a buon fine.
Nel 2004, sul punto, Rognoni spiegò d’aver cambiato solo la moquette e di aver pagato tutto di tasca sua: «Non ricordo quanto fu la spesa, dovrei rivedere le carte». Che la ditta interessata a quei lavori, interpellata dal Giornale, spiega di non trovare più «perché nella ristrutturazione dei nostri uffici il vecchio materiale archiviato è stato buttato via».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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