Roma - Non solo i muri, ma anche i lavori di manutenzione e abbellimento. Nel trattamento di favore «tutto compreso», che l’imprenditore Diego Anemone avrebbe riservato all’ex ministro per lo Sviluppo Economico Claudio Scajola c’erano anche gli extra. Con l’aggiunta che però quelle spese accessorie sarebbero finite a carico dello Stato attraverso la via più insospettabile: gli 007 del Sisde. È questa l’ultima sorpresa dei pm che indagano sulla cricca degli appalti per i lavori pubblici. La scoperta è avvenuta spulciando quel pozzo di San Patrizio che sono i libri contabili di Anemone. In particolare l’attenzione degli inquirenti si è concentrata sui lavori di ristrutturazione della sede romana del Sisde, in piazza Zama dove di fronte a un preventivo di 3 milioni di euro, la fattura a fine lavori riportava una cifra più che triplicata: 10 milioni. Decisamente troppi anche a fronte di eventuali rincari delle materie prime e di possibili imprevisti in corso d’opera. Così, incrociando dati e sospetti, i magistrati sarebbero giunti alla conclusione che una parte di quella maggiorazione è servita a coprire lavoretti extra fatti da Anemone per conto di Scajola ma anche del generale della Guardia di Finanza Francesco Pittorru e di altri clienti meritevoli di particolari attenzioni. Ipotesi che sono avvalorate da ulteriori riscontri non potranno che creare ulteriori grattacapi agli indagati.
Ieri intanto, dopo cinque mesi in carcere, il primo a Prato il secondo a Sollicciano, sono tornati a casa, pur restando detenuti, Angelo Balducci, ex presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici, e Fabio De Santis, già provveditore alle Opere pubbliche della Toscana, due dei principali artefici della cosiddetta «cricca» che avrebbe gestito illecitamente appalti pubblici.
A concedere gli arresti domiciliari ai due manager dei lavori pubblici, sotto inchiesta a Roma per le irregolarità che avrebbero caratterizzato la costruzione della scuola dei Marescialli di Firenze, è stato il tribunale del riesame presieduto da Giuseppe D’Arma.
Il collegio, in sostanza, ha ritenuto che non sussistano più le esigenze di custodia cautelare in carcere per i due indagati ritenendo più adeguata la misura della custodia in casa.I difensori dei due indagati attendono ora di leggere le motivazioni del tribunale del riesame prima di valutare se ricorrere in Cassazione per chiedere la remissione in libertà dei propri assistiti.
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