L'onorevole Niccolò Ghedini, avvocato padovano e consigliere giuridico del presidente del Consiglio, va giù duro. «Fuori dalle stanze dei palazzi di giustizia c'è un cartello: chi tocca la sinistra muore, chi tocca Silvio Berlusconi va in Parlamento». Come se i palazzacci fossero cabine dell'alta tensione, quelle con il teschio nero e le ossa incrociate sul portoncino zincato. Forzature del difensore del premier? Ghedini cita il caso di Gerardo D'Ambrosio, ex capo del pool Mani pulite di Milano che guidò la pattuglia di pubblici ministeri contro la Prima repubblica e adesso, neppure troppo contento della nuova vita cominciata dopo la pensione da magistrato, siede per la seconda volta in Senato, prima Ds e ora Pd.
Se un giudice tocca i fili sbagliati, resta fulminato. Chiedere conferma a Clementina Forleo, gip di Milano che denunciò pressioni di politici, giunte a lei anche attraverso colleghi e denunciate alla Procura di Brescia, per influenzare le decisioni che doveva prendere nell'inchiesta Unipol-Bnl-Antonveneta. Quella sulle allegre finanze rosse, quella delle intercettazioni a Piero Fassino («Abbiamo una banca») e Massimo D'Alema («Vai Consorte, facci sognare»), oltre che all'ex governatore di Bankitalia Antonio Fazio. La Forleo disse che l'allora ministro degli Esteri aveva telefonato a magistrati milanesi per accomodare l'inchiesta che lo riguardava, e che il procuratore generale Blandini le chiese di soprassedere. Di solito il Consiglio superiore della magistratura e l'Associazione nazionale magistrati fanno quadrato attorno alle toghe, in questa occasione no: il giudice ha in corso un procedimento disciplinare per incompatibilità ambientale ed è stato chiesto il suo trasferimento.
Chiedere conferma anche a Luigi De Magistris, il sostituto procuratore di Catanzaro che nell'inchiesta «Why not?» aveva intercettato il premier Romano Prodi e il guardasigilli Clemente Mastella. Anche per lui procedimento disciplinare al Csm e richiesta di trasferimento avanzata dal ministro indagato, ovviamente dopo che il procuratore gli aveva tolto i fascicoli scottanti per presunta incompatibilità. Per un'altra inchiesta, quella sulle «toghe lucane» in cui era coinvolto tra gli altri il sottosegretario diessino Filippo Bubbico, Mastella ha chiesto nuovamente il trasferimento di De Magistris: la notizia dell'allontanamento è giunta 24 ore dopo le dimissioni del ministro della Giustizia.
Chi assembla i contatti giusti, invece, sbarca in Parlamento. Gerardo D'Ambrosio, capofila del pool che smantellò Dc e Psi per poi concentrarsi su chi ne ereditò una larga fetta di voti (Berlusconi e Forza Italia), era stato trionfalmente preceduto da uno dei suoi bracci operativi, Antonio Di Pietro, due volte ministro, eletto alla Camera con l'Ulivo nel 1996 al motto di «Io quello lì lo sfascio»: e «quello» non occorre ricordare chi sia. Felice Casson, senatore democratico al pari di D'Ambrosio, tra le principali benemerenze che l'hanno lanciato nell'agone politico (prima del Senato tentò, infelicemente, di diventare sindaco di Venezia), aveva un lungo elenco di inchieste su Gladio, la strage di Peteano, i servizi segreti deviati. La neoeletta deputata del Pd Donatella Ferranti, magistrato viterbese, è stata per anni il segretario generale del Csm, stretta collaboratrice dei vicepresidenti Virginio Rognoni e Nicola Mancino: in quella veste ha anche istruito le pratiche del caso Forleo.
Né va dimenticata la neosenatrice democratica Silvia Della Monica, ex capo dipartimento del ministro Barbara Pollastrini, che quand'era procuratore aggiunto di Perugia fu protagonista dell'inchiesta contro due agenti del Servizio centrale operativo della polizia che intercettarono al bar Mandara la conversazione tra i giudici Renato Squillante e Francesco Misiani poi usata dall'accusa nel processo Sme-Ariosto a carico, tra gli altri, di Silvio Berlusconi e Cesare Previti.
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