Indagata la brigatista Lioce per la minacce a Bagnasco

La Procura dell’Aquila: su una lettera trovata nella sua cella, i frammenti di una frase in codice riconducibile al presidente della Cei. Ma lei nega tutto

Indagata la brigatista Lioce per la minacce a Bagnasco

Roma - Sulle minacce di morte rivolte contro l’arcivescovo Angelo Bagnasco, presidente della Cei, fino ad oggi si è minimizzato, parlando di mitomani e giudicando messaggi e scritte minatorie quasi alla stregua di ragazzate, frutto di emulazione. Ora invece arriva la notizia di un’inchiesta della Procura dell’Aquila che vede indagata Nadia Desdemona Lioce, l’irriducibile brigatista rossa condannata all’ergastolo per gli omicidi dell’agente della Polfer Emanuele Petri, e dei giuslavoristi Massimo D’Antona e Marco Biagi. All’origine del sospetto di una sua implicazione, c’è una busta sequestrata alla brigatista nel corso di una perquisizione due mesi fa, nella quale sarebbero leggibili alcuni spezzoni di parole: «ne do... asco ne... religios...». Frammenti ritrovati «in una piccola striscia di carta sovrapposta alla busta stessa», nella «parte superiore, quella che si ripiega per la chiusura». «In tali parole - si legge nel verbale di sequestro - possono ravvisarsi elementi di reato, tenuto conto della posizione processuale della Lioce e alla luce dei recenti fatti di cronaca in materia di terrorismo riportati dai mezzi di comunicazione».

Nel decreto di convalida del sequestro, il pm della Procura dell’Aquila Alfredo Rossini, scrive che Nadia Lioce è indagata perché «partecipava all’associazione denominata Br al fine di organizzare attività anche di attentati con finalità di terrorismo mantenendo contatti con persone da identificare che agiscono in stato di libertà comunicando a mezzo di messaggi cifrati dalle carceri dove è detenuta». La brigatista, unica detenuta in regime di 41 bis nella cosiddetta zona «gialla» del carcere dell’Aquila, non può comunicare con l’esterno e la sua corrispondenza è sottoposta a censura, sia in arrivo che in partenza. Ma questi timbri non c’erano nella busta non ancora utilizzata che è stata sequestrata lo scorso aprile nella sua cella.

Da parte sua, la Lioce smentisce qualsiasi coinvolgimento: «Disconosco qualsiasi attribuzione surrettizia, a me personalmente o all’organizzazione a cui appartengo, di contenuti più o meno politici estranei alla linea politica praticata e proposta dalle Br per la costruzione del partito comunista combattente, che sostengo», ha fatto sapere la detenuta ai giudici. «Per quanto mi riguarda - aggiunge la brigatista - il tempestivo reperimento di una frase dattiloscritta che si vuole riferire alla campagna mediatica e allarmistica in corso proprio in questi giorni, entra a far parte di un’operazione... volta in generale a inquinare l’informazione pubblica e soprattutto e in particolare, ad attaccare la linea politica dell’organizzazione a cui appartengo». Dura anche la reazione degli avvocati della Lioce, Carla Serra e Caterina Calia: «È assurdo che da un pezzo di frase incomprensibile sia stata formulata nei confronti della nostra assistita un’accusa parimenti assurda come quella di essere in qualche modo l’ispiratrice di messaggi di minaccia rivolti a monsignor Bagnasco.

Si tratta, invece, di un’accusa strumentale volta soltanto a mantenere in piedi il 41 bis per la Lioce».
Nessun commento arriva, invece, dalla Curia di Genova. Bagnasco si trova in queste ore a Roma e da quanto si apprende le misure di sicurezza che lo riguardano non sono state rafforzate.

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