Industria, la marcia costante del Nord Est

Il presidente degli imprenditori locali, Gianluca Rana: «La ripresa non è di breve periodo. C’è di nuovo fiducia»

Paolo Stefanato

nostro inviato a Verona

Mentre la produzione industriale dell’Italia, nel suo complesso, chiude un 2005 cupo (meno 1,8%, il dato peggiore dal 2000), la sana provincia italiana si muove silenziosamente in controtendenza. Verona è una di queste oasi felici, dove l’economia funziona con un buon equilibrio nel territorio, senza strappi e senza contrasti, in un clima di sostanziale serenità in cui le percezioni degli imprenditori sono rivolte all’ottimismo. Sarà che l’impresa è in buona parte media e piccola (quindi umana e flessibile), sarà che la proprietà è quasi sempre familiare (con un approccio più semplice e diretto), sarà che l’alimentare - legato alle tradizioni della terra e ai piaceri della tavola - è uno dei settori importanti; sarà per effetto di tutto questo e di altro ancora, ma la provincia di Verona ha chiuso il 2005 con segno positivo in linea con quello dell’ultimo trimestre: più 1,6%.
Mix vincente. Quello che fa sensazione è che non ci si trova di fronte a nessun miracolo: lavorare bene e ottenere risultati qui è straordinariamente normale. Imprenditori di seconda, terza generazione - alla guida di imprese di quaranta, cinquant’anni - ammettono con naturalezza che la loro azienda è sempre (ripetiamo: sempre) stata in utile. Dire che qui c’è l’Italia che lavora offenderebbe altre zone, altrettanto lavoratrici. Ma qui c’è qualcosa di più: c’è stata l’intelligenza di capire al momento giusto come cambiava il mondo, si sono messi insieme alcuni degli ingredienti di cui tanto si parla - ricerca, innovazione, internazionalizzazione, competitività - ma in un mix concreto e tempestivo, capace di dare risultati poi realmente riscontrabili sui mercati e nei bilanci.
Il presidente di Confindustria Verona è Gianluca Rana, seconda generazione dell’omonima azienda che con il suo esercito di tortellini ha conquistato l’Europa; dal padre Giovanni, che tutti conoscono per gli spot televisivi, ha ereditato (patrimonio a parte) simpatia e ottimismo: «La ripresa viene ormai dalla metà del 2005, non è di breve periodo. Gli imprenditori hanno riacquistato fiducia, e se anche alcuni settori - come il tessile o il calzaturiero - soffrono ancora, in questo momento non ci sono né fronti caldi né tensioni sindacali. Anzi, tra imprese e i sindacati c’è un positivo clima avviato verso una convergenza che nel mio mandato intendo promuovere».
Piccola capitale. Alcune aziende, per prima la Veronesi (marchio Aia) in quanto leader in Italia, stanno soffrendo in questi giorni per gli effetti - che tutti sperano momentanei - dell’aviaria, l’influenza dei polli: «Eravamo di fronte a una bella ripresa - dice il presidente Giordano Veronesi -. Quello che abbiamo costruito in quarant’anni, rischiamo di distruggerlo in quattro mesi». Il sistema confindustriale conta circa 1500 aziende con quasi 70mila addetti. Tutti i settori sono rappresentati, con eccellenze nell’agroalimentare, nella metalmeccanica, nel sistema moda, nella farmaceutica. Evocano Verona nomi come Bauli e Vicenzi, Rana e Veronesi, Glaxo SmithKline, Mondadori printing, Fedrigoni. Ma a Verona ha il cuore anche un importante gruppo assicurativo come la Cattolica, qui ha una delle sue radici importanti il gruppo Unicredit, mentre sono quotate in Borsa anche una piccola multinazionale come Trevisan e Popolare di Verona e Novara.
Verona è il secondo polo automobilistico italiano, per la presenza degli importatori di Volkswagen, Audi, Seat, Skoda (Autogerma) e Honda. L’economia che finisce sulle cronache dei quotidiani fa vetrina; dietro c’è un tessuto vivo. E questo tessuto è molto numeroso. «Fatta 100 la media della capacità produttiva in Europa, in Italia scende a 92-93, a Verona sale a 123» riferisce Rana. Dice Dante Ferroli, fondatore e presidente dell’azienda che porta il suo nome attiva nel riscaldamento, nella climatizzazione e nei motori elettrici: «La Borsa, a parte casi particolari, è più un peso che un vantaggio».
Internazionali. Cos’hanno saputo fare in questi anni gli industriali veronesi? «Sacrifici tanti - è convinto Rana -. Ma soprattutto hanno saputo avviare una serie di strategie sui mercati stranieri che hanno fatto avanzare la crescita e rafforzato le strutture aziendali». L’industria di Verona esporta il 35% del proprio fatturato. Molto si fabbrica all’estero: ma con molti approcci differenti, secondo i settori e i livelli di produzione. La Swinger, che con i marchi Byblos, Rocco Barocco e Laura Bigiotti Roma si rivolge anche alla gamma alta del mercato dell’abbigliamento, produce rigorosamente in Italia la fascia di qualità più elevata: «Solo la manifattura italiana - spiega Mathias Facchini, amministratore delegato della società - garantisce quegli standard di qualità che vogliamo mantenere e che il mercato richiede». Swinger produce all’estero solo le linee più commerciali, ma senza stabilimenti propri, in Grecia, Romania, Polonia, Cina: «Siamo un’azienda flessibile». Invece un’altra azienda del sistema moda, la Olip (calzature di fascia media) produce tutto in stabilimenti di proprietà all’estero (Polonia, Romania, Jugoslavia e Bosnia), e il 97% della sua produzione si vende fuori dall’Italia. Spiega Cesare Oliosi, amministratore delegato: «Nel nostro Paese abbiamo rafforzato tutti i servizi generali, dalla creazione del prodotto al commerciale». Oliosi è stato uno dei primi a delocalizzare: «Negli anni Settanta abbiamo aperto in Macedonia: ci hanno presi per matti, ma avevamo visto giusto». Ha avuto per una dozzina d’anni anche stabilimenti in Russia e Ungheria, chiusi alla fine degli anni 90 dopo la crisi del rublo. Avevano rispettivamente 600 e 320 dipendenti. Difficoltà a chiudere? «No. Abbiamo pagato tutto, secondo le leggi». E i sindacati? «I sindacati non ci sono. Quelli sono solo in Italia».
Tra Cina e Argentina. Un altro esempio interessante è la Prialpas: è leader mondiale nella gomma tecnologica per calzature, 120 dipendenti, gomma per 400mila paia di calzature al giorno. L’azienda produce solo in Italia, tutto a Sona, presso Verona, ed esporta il 45% della produzione in tutto il mondo, Cina compresa: «In Cina esportiamo da 15 anni e il mercato è in continua crescita. Fabbricheremo all’estero quando sarà il momento».

Mentre produce anche in Argentina (oltre che in Veneto) la casa vinicola Masi, primo produttore del celebre Amarone, che nelle tenute sudamericane ha portato l’uva corvina (quella, appunto, dell’Amarone) e i propri metodi di vinificazione: «Ne è nato un vino - racconta orgoglioso Sandro Boscaini, la cui famiglia fa lo stesso mestiere da 233 anni - di carattere argentino e stili e profumi veneti. Ora vogliamo fare lo stesso in Cina».
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