Milano - Condannata a 180 giorni senza stipendio per scarso impegno lavorativo. Neppure la riforma Brunetta sul pubblico impiego ha previsto una sanzione disciplinare tanto severa per il lavoratore fannullone. Ma è questo il fio che dovrà scontare una fisioterapista che presta servizio negli ambulatori degli Istituti clinici di perfezionamento colpevole di essersi «autoridotta le prestazioni professionali».
In altre parole: di non aver lavorato abbastanza. Protagonista di questa singolare controversia giudiziaria è Laura B., 50 anni, dipendente degli Icp di Milano, che si era rivolta al giudice con un ricorso contro la sanzione inflittale dalla direzione sanitaria per «gravi inadempienze nello svolgimento delle sue mansioni».
Addetta all'elettroterapia, Laura B. «stabiliva di propria iniziativa la quantità di prestazioni da effettuare giornalmente - si legge tra gli atti - rifiutava arbitrariamente le cure a pazienti già in appuntamento invitando gli stessi a rivolgersi allo sportello reclami, alla direzione sanitaria o al numero 112». Proprio così: a chi si lamentava dell'eccessivo ritardo sull'appuntamento per effettuare la terapia diceva di telefonare ai carabinieri. Un atteggiamento che aveva determinato «il mancato rispetto degli appuntamenti agli utenti negli orari fissati e l'impossibilità di esaurirli se non ricorrendo all'ausilio di altro personale, causando malcontento nei colleghi e lamentele da parte dell'utenza».
L'azienda sanitaria era già intervenuta attraverso inviti verbali e scritti per convincere la fisioterapista a lavorare adeguatamente. Infine era passata alle maniere forti: 180 giorni di allontanamento dall'ospedale. In pratica sei mesi senza stipendio. Una sanzione che ieri è stata confermata dal Tar e motivata con «il comportamento scorretto nei confronti delle figure dirigenziali nonché dei colleghi di lavoro, e per i disagi arrecati all'utenza per lo scarso impegno lavorativo». «Un comportamento che riveste carattere di particolare gravità - scrive il giudice -, non solo per la natura degli atti compiuti, che comporta turbativa al servizio, ma anche per la reiterazione degli atti stessi, che lascia intendere una precisa volontà di non assoggettarsi alle regole secondo le quali il servizio cui è addetta è organizzato».
Una sentenza contro la quale il legale della fisioterapista ha già promesso ricorso in appello. «La mia assistita gestiva un paziente ogni mezz'ora - ha detto l'avvocato Mirco Rizzoglio -. L'ospedale non è una catena di montaggio. Qual è il ritmo da tenere? Uno ogni dieci minuti? Questa sentenza lascia perplessi, si tratta della sanzione più grave prima del licenziamento. Se non avesse lavorato avrei potuto capirlo, ma qui si tratta del numero di prestazioni effettuate». Nessuno sconto riguardo la presunta «violazione del diritto alla salute della dipendente» con la quale Laura B. aveva cercato di dimostrare la sua inidoneità alla mansione per un mal di schiena cronico. Secondo il giudice la elettroterapia a cui era stata assegnata era un compito assolutamente compatibile con le sue condizioni.
«È
una sentenza che fa riflettere - è il commento dell'avvocato degli Icp, Rocco Mangia -. Spesso per buonismo si lascia correre. In questo caso invece le mancanze nei confronti dei cittadini sono state sanzionate duramente».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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