Inferno in famiglia per l’ispettore Bosch

Il detective Bosch entrò nella stanza per gli interrogatori dove lo attendeva Stephen Helton. Era giovane, non dimostrava neppure trent’anni. Era alto, magro e sembrava il perfetto agente immobiliare. Sembrava anche che, fino a quel momento, non avesse mai trascorso neppure cinque minuti in una stazione di polizia.
«Prima di tutto» disse Bosch «la ringrazio. Come sa, lei non è in arresto, signor Helton, ed è libero di andarsene, se vuole. La legge però ci obbliga ad aprire un’indagine sulla morte di suo figlio e apprezziamo la sua collaborazione».
«Cominciamo dall’inizio» disse Bosch. «Mi dica come è iniziata la giornata». Helton annuì.
«La domenica è il giorno in cui siamo più occupati. Mia moglie e io siamo entrambi agenti immobiliari: Haddon e Helton. Forse ha visto i cartelli, in giro. Oggi Arlene aveva un paio di appuntamenti privati, seguiti da una presentazione pubblica a mezzogiorno. Perciò Willy doveva restare con me. Abbiamo perso l’ennesima baby-sitter venerdì e non ne abbiamo ancora trovata un’altra».
«Come mai avete perso la baby-sitter?».
«Se n’è andata. Come tutte le altre. Willy è un bambino difficile... a causa dei suoi problemi. Voglio dire, perché occuparsi di un bambino handicappato quando si può guadagnare la stessa cifra occupandosi di bambini sani e normali?».
«Quindi oggi lei doveva occuparsi del bambino mentre sua moglie mostrava case ai clienti».
«Sì, ma dovevo lavorare comunque. Stavo negoziando una vendita che avrebbe comportato una commissione di trentamila dollari. Era importante».
«Per questo è andato in ufficio?».
«Esatto. Avevamo ricevuto un’offerta e dovevo rispondere. Perciò ho messo Willy in macchina e l’ho portato con me».
«Che ora era?».
«Circa le 9.45. Ho ricevuto la chiamata dall’altro agente – quello dell’acquirente – alle 9.30. L’acquirente faceva il duro e bisognava rispondere entro un’ora. Ho dovuto allertare il venditore, caricare Willy in macchina e andare in ufficio per ricevere il fax».
Bosch annuì. Sembrava plausibile.
«Bene, quindi è salito in macchina per andare in ufficio...».
«Esatto. E sono successe due cose».
Helton tirò su le mani, mettendole in vista, ma solo per coprirsi il viso e nascondere gli occhi. Un classico.
«Ho ricevuto una chiamata sul cellulare da Arlene e Willy si è addormentato nel suo seggiolino. Capisce?».
«Mi faccia capire lei».
«Distratto dalla telefonata, non ho più pensato a Willy. Lui si era addormentato. Mi sono dimenticato di lui, capisce? Chiedo perdono a Dio, ma mi sono dimenticato che mio figlio era in macchina con me!».
«Capisco. E dopo, che cosa è successo?». Helton nascose di nuovo le mani. Guardò Bosch in faccia per un attimo, poi abbassò lo sguardo sul tavolo. «Ho parcheggiato nel mio spazio riservato e sono sceso dall’auto. Stavo ancora parlando con mia moglie al telefono. Uno dei nostri acquirenti sta cercando di rescindere il contratto perché ha trovato un’offerta che gli piace di più. Stavamo parlando di come sistemare le cose nel modo migliore, quando sono entrato in ufficio».
«Bene. E che cosa è successo quando è entrato?».
Helton non rispose subito. Rimase a fissare il tavolo, come se stesse cercando di ricordare una risposta preparata.
«Avevo detto all’agente dell’acquirente di mandarmi l’offerta via fax. Ma il fax non c’era. Allora ho interrotto la telefonata con mia moglie per chiamarlo. Poi ho aspettato il fax».
«Che ora era?».
«Non lo so di preciso. Forse le 10.10».
«Potrebbe dire di essere stato consapevole che suo figlio era ancora in macchina nel parcheggio, a quel punto?».
Di nuovo Helton non rispose subito, prendendo tempo per pensare alla risposta. Stavolta, però, parlò prima che Bosch lo richiamasse. «No. Se avessi saputo che era in macchina non l’avrei mai lasciato lì. Mi sono dimenticato di lui fin da quando ero ancora nell’auto, capisce?».
«D’accordo» disse Bosch. «Poi che cos’è successo?».
Helton scosse la testa e fissò il muro, come se fosse una finestra affacciata su un passato che ormai non poteva più cambiare. «Io... mi sono lasciato assorbire dall’affare in corso» disse.
«Per due ore».
«Sì, ci sono volute due ore».
«E quando si è ricordato di aver lasciato William in macchina nel parcheggio, con trentacinque gradi all’ombra?».
«Appena ho finito... Un momento, io non sapevo che temperatura ci fosse fuori. È un punto su cui insisto. Quando ho lasciato l’auto nel parcheggio, verso le 10, non c’erano di sicuro trentacinque gradi».
C’era una completa mancanza di rimorso e di senso di colpa nell’atteggiamento di Helton, il quale non fingeva neppure più di essere addolorato. Bosch si era ormai convinto che quell’uomo non provasse né amore né affetto per il suo bambino malato, e adesso morto. William era soltanto un problema, perciò era facile dimenticarsi di lui quando c’erano in ballo cose più importanti, come gli affari e i soldi. Ma dov’era il crimine in tutto ciò? Bosch poteva accusarlo di negligenza, ma in casi del genere le corti di giustizia tendevano a considerare la perdita del bambino una punizione sufficiente. Helton e la moglie avrebbero suscitato compassione e sarebbero usciti dal tribunale liberi di continuare la loro vita, mentre il piccolo William imputridiva nella tomba. I segni rivelatori avevano sempre un senso. Istintivamente, Bosch era convinto che Helton mentisse. Perciò cominciò a credere che la morte del bambino non fosse stata un incidente.
Quel momento di riflessione finì quando qualcuno bussò alla porta. Ferras entrò con un fascicolo in mano. «Scusami» disse. «Ho pensato che volessi vedere questo». Gli diede il fascicolo e uscì. Bosch lo girò in modo che Helton non potesse vederne il contenuto e lo aprì. Dentro c’erano un foglio stampato e un messaggio scritto a mano su un Post-it. Il messaggio diceva: «Nessun annuncio sul sito per la ricerca di baby-sitter». Il foglio stampato era un articolo del Los Angeles Times di dieci mesi prima. Parlava di un bambino morto per un colpo di calore a Lancaster. La madre l’aveva lasciato in macchina mentre andava a comprare il latte in un negozio, dove poi si era trovata coinvolta in una rapina. Era stata legata e gettata nel retrobottega con il padrone, mentre i rapinatori mettevano insieme il bottino e scappavano. Era passata un’ora prima che la liberassero e nel frattempo il bambino in macchina era morto.
«Che cosa c’è?», chiese l’uomo.
«Alcune informazioni aggiuntive e gli esami di laboratorio», mentì Bosch. «A proposito, lei è abbonato al Los Angeles Times?».
«Sì, perché?».
«Una semplice curiosità. Quante baby-sitter pensa di aver assunto nei quindici mesi di vita di suo figlio?».
Helton scosse la testa. «Non lo so. Almeno dieci. Non resistono a lungo, non ce la fanno».
«E quando una se ne va, lei mette un annuncio su un sito apposito per trovarne un’altra».
«Esatto».
«E l’ultima se n’è andata venerdì scorso?».
«Sì, gliel’ho detto».
«È andata via all’improvviso?».
«No, ci ha avvertiti che aveva trovato un altro lavoro. Ha inventato una bugia dicendo che era più vicino a casa e le avrebbe fatto risparmiare il costo della benzina. Ma noi sapevamo perché se ne andava: non riusciva più a sopportare Willy».
«Ve l’ha detto questo venerdì?».
«No, quando ci ha dato il preavviso».
«Quando è stato, esattamente?».
«Due settimane fa».
«E avevate già trovato un’altra baby-sitter?».
«No, non ancora».
«Però avevate fatto qualche sondaggio e messo l’annuncio, vero?».
«Sì, ma mi scusi, che cosa c’entra questo con...».
«Lasci che sia io a fare le domande, Stephen. Sua moglie ci ha detto che era preoccupata di lasciare William con lei, sapendo che non riusciva a reggere la tensione della situazione». Helton aveva l’aria sconvolta. Quell’affermazione lo aveva colto in contropiede, proprio come Bosch voleva. «Che cosa?! Perché avrebbe dovuto dire una cosa del genere?».
«Non lo so. È la verità?».
«No. Certo che no».
«Sua moglie teme che non si sia trattato di un incidente».
«È pazzesco e non credo che Arlene abbia detto una cosa del genere. Lei sta mentendo, detective!». Si girò sulla sedia, in modo che il suo corpo fosse rivolto verso un angolo della stanza. Per guardare in faccia Bosch Helton avrebbe dovuto voltare la testa. Un altro segno rivelatore. Il detective capì che quell’uomo si stava concentrando e decise che era arrivato il momento di tentare il tutto per tutto.
«Sua moglie ci ha raccontato di un articolo che avete letto sul Los Angeles Times: parlava di un bambino morto per un colpo di calore dentro un’auto, a Lancaster. Teme che quell’articolo le abbia dato l’idea». Helton ruotò sulla sedia, mise i gomiti sul tavolo e si passò le mani tra i capelli. La mente di Helton correva sull’orlo del precipizio. Era il momento della spinta decisiva.

«Lei non si era dimenticato che William era nella macchina, vero, Stephen?». Helton non rispose. Si coprì di nuovo il viso con le mani.

Festa del papà © by Michael Connelly. Pubblicato per gentile concessione di Luigi Bernabò Associates SRL

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