Inflazione, dopo 50 anni è ferma al palo Ecco cosa significa vivere a prezzi costanti

A prima vista, un’inflazione a zero sembra che accontenti tutti: chi fa la spesa non deve rincorrere i prezzi, chi chiede a prestito del denaro non deve restituirlo lievitato da tassi di rapina, lo Stato, che emette i titoli del debito pubblico, non ha l’ossessione di pagare interessi che squilibrano il bilancio corrente. Invece no: a parte quella specie di illusione di un mondo cristallizzato e perfetto, di cartellini immobili al supermercato, l’inflazione piatta, a zero, non aiuta nessuno. Un pizzico di carovita è il motore dell’economia, è il sale su una pietanza altrimenti insipida.
L’inflazione che non va né su né giù è un segnale di stagnazione, più ancora che di recessione: in altre parole, non c’è né crescita né decrescita, e l’economia naviga senza nerbo. Il dato di oggi riflette le due vie che portano all’inflazione: che può essere provocata dall’offerta o dalla domanda. La situazione è sotto gli occhi di tutti: sotto il profilo dell’offerta, costi, materie prime e salari oggi sono fermi o in discesa; qui, il volano dell’inflazione non si muove. Sotto il profilo della domanda, ovvero dei consumi, è evidente: sono sostanzialmente fermi. È la combinazione di questi due elementi ingessati a provocare l’inflazione zero. Che appare, prima ancora che un dato economico, un fatto psicologico, un senso disarmato di attesa.
Sono cinquant’anni che tutto ciò non si verificava, dal 1959: da allora si è poi assistito a un progresso economico crescente, intervallato da crisi, ma crescente. Quasi a sostenere l’equazione: inflazione uguale sviluppo.
Qualcuno dirà: ma non c’è contraddizione tra le recenti preoccupazioni di fiammate inflazionistiche e il dato di un’inflazione piatta? In realtà no. Se l’economia reale riparte, c’è da aspettarsi anche un riavvio dei rincari, provocati dallo stesso binomio indicato prima: aumento dei costi e aumento della domanda. E poi, nell’arco della crisi, i ripetuti soccorsi portati dalle casse di tanti Stati alle banche e ai settori economici, l’aumento del debito e - in alcuni casi - il ricorso alla stampa di moneta hanno creato dei presupposti d’inflazione che, per il momento, sembrano solo «congelati».
L’inflazione zero, se prolungata, è comunque una iattura. Lo si accertò nella lunga crisi giapponese degli anni Novanta. Il rischio è quella della «trappola keynesiana della liquidità»: con tassi allo zero nessuno investe e nessuno concede prestiti. O meglio, non ne hanno convenienza. Come osservano molti economisti, quando i tassi d’interesse nominali sono vicini allo zero, la moneta domina su ogni attività finanziaria, che non risulta più conveniente. L’economia rischia un immobilismo che il mercato, da solo, non è in grado di riattivare.


Qual è, secondo le dottrine economiche, la via risolutiva? Quella utilizzata a suo tempo dal Giappone per uscire dal suo tunnel, e quella oggi individuata da tanti Stati - Italia compresa - per ridare giri al motore della produzione: e cioè gli investimenti pubblici, soprattutto in infrastrutture e grandi opere, che hanno il doppio vantaggio di ammodernare i Paesi e di rimettere in circolo forzoso denaro ed energie.

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