Dal primo gennaio, la perfida Albione sarà forse un po’ meno perfida, almeno per chi possiede cani, gatti, furetti e altre specie di «pet» (animali d'affezione). Negli ultimi decenni, seguendo quello che è stato il percorso di facilitazione dei movimenti per i bipedi (abolizione dei passaporti, delle dogane ecc.) l'Europa unita si è mossa, di pari passo, per facilitare la libera circolazione dei «pet» che accompagnano i loro proprietari nei paesi membri.
Quella che ha sempre destato la giusta preoccupazione delle nazioni in cui transitano cani e gatti, provenienti da altri paesi, è la rabbia, malattia virale i cui sintomi sono noti fin dal 500 a.C., diffusa in tutto il mondo e sostenuta da un virus letale, capace di colpire tutti gli animali a sangue caldo. Il suo tasso di mortalità, vicino al 100% e la sua capacità di diffusione attraverso il morso o il leccamento di ferite, ha fatto sì che questa malattia sia sempre stata «rispettata» e soprattutto temuta da ogni popolazione in qualunque epoca storica. É soprattutto il modo in cui muoiono gli organismo colpiti che suscita il terrore della gente: ricordo il filmato di un sudamericano che aveva contratto la malattia per il morso di un pipistrello e si trovava agli ultimi stadi prima della morte. Impressionante anche per me.
I serbatoi del virus sono, in Europa, il cane (rabbia urbana) e la volpe (rabbia silvestre), mentre in altri continenti sono i pipistrelli carnivori (i cosiddetti «vampiri») a destare le maggiori preoccupazioni. Anche se da quello storico giugno del 1885, quando Pasteur sperimentò con successo il suo vaccino su un ragazzo infetto, la malattia cominciò ad essere sconfitta, le misure per il suo controllo sono sempre state rigide e questo ha permesso ad alcune nazioni, tra cui l'Inghilterra, il Giappone e l'Australia di assumere lo status di nazioni indenni (facilitate anche dal fatto di essere delle isole).
La Gran Bretagna dunque, volendo assolutamente conservare lo stato d'indennità dalla rabbia, ha sempre preteso che gli animali, introdotti nel suo territorio, fossero sottoposti a una sorta di regime carcerario, meglio noto come quarantena, vero spauracchio di chi doveva recarsi in quel paese portando con sé un cane o un gatto. Questo regime, in vigore fin dal 1800, prevedeva proprio il fermo dell'animale presso un canile presente in dogana, per diversi mesi, fino a quando erano stati espletati i vari controlli di rito. In pratica era quasi impossibile andare in Gran Bretagna con il proprio «pet». In realtà già da diversi anni, l'Inghilterra ha concesso una sorta di «quarantena virtuale». In pratica chi là deve recarsi, fa prelevare il sangue al cane o al gatto e fa la titolazione degli anticorpi, che stanno a dimostrare l'avvenuta vaccinazione dell'animale. Ci vogliono poi circa sei mesi di tempo per dimostrare, attraverso le opportune certificazioni, che i test sono andati a buon fine e che l'animale può entrare nell'isola. Quindi, diciamo che in realtà si tratta di «arresti domiciliari» e non più di «detenzione», come un tempo.
Oggi il ministero di Sua Maestà ha dichiarato che, vista la validità del vaccino, anche queste misure cautelative possono essere relegate al passato, almeno per quanto riguarda gli animali provenienti dai paesi europei e dalle nazioni indenni, per i quali basterà dunque la vaccinazione, il passaporto sanitario europeo e un periodo di tre settimane d'attesa prima di entrare finalmente nella città del Big Ben. Dunque, Happy new year (Buon anno).
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