«Inseguendo il tempo del mondo perdiamo la nostra vera identità»

Secondo lo psichiatra Eugenio Borgna viviamo in un eterno presente amplificato e deformato dalla comunicazione

«Inseguendo il tempo del mondo perdiamo la nostra vera identità»

nostro inviato a Borgomanero (Novara)

La casa in cui Eugenio Borgna mi accoglie con gentilezza d'altri tempi si trova nella via intitolata al padre, Giacomo Luigi, sindaco di Borgomanero nel dopoguerra. «Sto volentieri qui, d'estate ma non solo, perché posso leggere e scrivere nel silenzio», confida quest'uomo alto e fragile di 85 anni, insigne psichiatra, autore di saggi appassionati che chiamano la letteratura e la mistica al cospetto della psichiatria, strumento d'indagine nel mistero dell'essere.

È una casa immersa in un parco e foderata di libri, grandi classici, religione, giurisprudenza, scienze sociali. «Durante la guerra fummo costretti ad abbandonarla dopo che, una notte, i tedeschi vi entrarono alla ricerca di mio padre, partigiano cattolico, imbattendosi invece in me che, studiando il tedesco, li sorpresi parlando la loro lingua, inducendoli così a sospendere la perquisizione. Mia madre, però, non era tranquilla. E qualche giorno dopo sfollammo nelle colline, lei e noi sei figli, io tredicenne ero il più grande. Quando tornammo, trovammo quasi distrutta la casa dei nostri sogni... Ma poco alla volta la vita riprese... Mio padre confidava nella Provvidenza anche nei momenti più difficili. Amava la cultura e possedeva un carattere intrepido... Paradossalmente, quando è mancato, la sua presenza si è fatta ancor più significativa. L'intestazione della via ci è parso il sigillo alla sua opera di sindaco, servita a trasformare questo borgo in una cittadina moderna, preservandola dal cemento e dall'industrializzazione selvaggia».

Come si vive in una casa così? La società contemporanea ha esautorato la figura del padre e la psicanalisi dice che bisogna ucciderlo per affermarsi... «Il padre è relativizzato. Fino a quando si procedeva dentro traiettorie comuni, anche conflittuali ma con un senso ultimo di rispetto e comprensione, tutto era più composto. Oggi i figli si legano a figure che derivano da situazioni di crisi del matrimonio e della fedeltà. I conflitti sono esasperati dalla rivoluzione digitale che ha allargato i confini delle aspirazioni e dei desideri delle giovani generazioni. E che, insieme al venir meno della fede e della speranza intese come strutture di pensiero cristiane ed esistenziali, ha finito per slabbrare il rapporto tra la Weltanschauung dei padri e quella dei figli». Parla come scrive, il professor Borgna, traendo ogni parola da uno scavo profondo. L'ultimo suo libro s'intitola Il tempo e la vita (Feltrinelli): perché una riflessione sul tempo? «Il titolo avrebbe potuto essere anche Il tempo è la vita . Il tempo scorre e ci porta da una parte all'altra dell'esistenza, acuendo la percezione della precarietà e dell'imprevedibilità della fine. Al tempo, lo si voglia o meno, è impossibile non pensare. Adattarsi ai limiti collegati alle stagioni della vita è un grande impegno. Pensiamo alla corsa al lifting di quest'epoca... Mantenere giovani volti e corpi non solo femminili: siamo tutti immersi nel passaggio dall'adolescenza all'età adulta. Siamo disattenti allo scorrere del tempo interiore. Agostino distingueva fra il tempo dell'orologio e il tempo dell'anima».

Forse siamo condannati a questa discrasia. «Potremmo ricorrere alla metafora delle convergenze parallele. Shakespeare si chiedeva quanti minuti ci sono in un'ora e quale infinita cascata di sentimenti, ricordi, emozioni possiamo vivere in un minuto. Gabriel Marcel ha collegato il passato al futuro, parlando della speranza come memoria del passato. Noi viviamo in un eterno presente, amplificato, deformato dalla comunicazione che lo dilata in una somma d'istanti che cambiano continuamente».

Anche questo come i precedenti libri di Borgna è una miniera di citazioni. «Letteratura e misticismo sono alleati della psicologia. La psichiatria è la ricerca della conoscenza della vita interiore dell'altro a scopi terapeutici. Nella indagine sulla malinconia, l'angoscia, la disperazione, la gioia, Agostino, Kafka, Weil, Leopardi, Rilke forniscono intuizioni di grande utilità. Si entra davvero in contatto con i pazienti solo quando si ha la percezione di cosa significhi essere tristi, depressi o desiderare la morte». Letteratura e mistica cristiana ci dicono che l'uomo è un essere finito che tende all'infinito. «Simone Weil e don Giussani dicono che l'infinito vive in noi. Anche Ernst Bloch in Il principio speranza parla del mistero del desiderio: di Dio, di avventura, di rinascita. Noi rimuoviamo queste domande perché rifuggiamo la solitudine e la presa di coscienza delle nostre contraddizioni che porterebbero ansia e ci farebbero chiedere qual è il senso di ciò che siamo e facciamo».

Tornando alla psichiatria, quella in voga privilegia la chimica e i rimedi della tecnica... «C'è una psichiatria che riduce la sofferenza a cause biologiche. Invece non c'è sofferenza psichica che non abbia componenti sociali, psicologiche, esistenziali. La psichiatria che si affida ai farmaci non coglie questa complessità. Misurarsi con essa significa immedesimarsi, entrando in questi percorsi». Ma questo coinvolgimento con i pazienti è insidioso. A parte il transfert a cui sono esposti loro, anche per il medico è necessaria la giusta distanza. «Max Scheler, citato spesso da Romano Guardini, distingueva immedesimazione da identificazione. Cerchiamo di metterci nei panni dell'altro senza scioglierci in lui. Ma se restiamo estranei alla sua sofferenza, difficilmente potremmo entrare in rapporto. Le ricerche realizzate in Svizzera da Luc Ciompi ci confermano che i farmaci da soli non sono portatori di speranza. Che invece si trasfonde in un rapporto».

Anche Borgna è rimasto choccato dalla tragedia dell'Airbus A320 che ha avuto per protagonista Andreas Lubitz, definito dalle cronache come un depresso. Ma dissente: «Quello cui abbiamo assistito è un gesto inconciliabile con la depressione, uno stato che cresce in persone fragili, sensibili al dolore in sé e al dolore degli altri in particolare. Siccome tutti, nel corso della vita, attraversiamo momenti di depressione, se questa fosse la premessa di una simile sciagura, le stragi si susseguirebbero. La persona depressa sceglie il luogo e il modo in cui suicidarsi. Ma mai trascinando con sé altre persone. Come, invece, penso abbia voluto intenzionalmente fare Lubitz: con un atto proditorio, realizzato con determinazione e freddezza assolute. Un gesto che indica uno sconvolgimento mentale in atto, un'esperienza psicotica connessa a delirio persecutorio o di onnipotenza, con istinti di rivalsa e di gelosia che porta a vivere le relazioni in modo fortemente conflittuale, fino a sfociare in azioni clamorose e inusitate»

Il 31 marzo verranno chiusi gli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) con il trasferimento dei pazienti in altre strutture chiamate Residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza sanitaria (Rems). L'impressione è che si cambi l'acronimo, ma senza che queste persone ne traggano giovamento. «Condivido le sue riserve. Purtroppo la legge di riforma psichiatrica non è realizzata fino in fondo, nonostante sia un disegno rivoluzionario. Cancellare da un giorno all'altro strutture che ospitano pazienti pericolosissimi mi sembra precipitoso. È necessario por fine alle violenze, ai letti di contenzione... La mossa giusta sarebbe stata trasformare alcuni Opg sul modello di Castiglione delle Stiviere. Sbandierare la libertà e il diritto dei pazienti di far parte della comunità di malati è un errore perché la componente antisociale è altissima.

E la preoccupazione per i processi di guarigione e per i livelli di sicurezza della comunità è elevata».

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