Giannino della Frattina
da Milano
I «valori di libertà, democrazia e tolleranza» rimangono fra le righe dei triti e ritriti discorsi ufficiali da 25 aprile. Nellalluvione di retorica con cui Romano Prodi e Guglielmo Epifani ammorbano una piazza Duomo precettata per legittimare il governo che non cè. Intanto i bravi militanti depongono lulivo e si coprono di vergogna. Urla, insulti e spintoni a Letizia Moratti e al padre. Ottantacinque anni portati con fierezza nonostante la sedia a rotelle, un passato da partigiano «bianco» e di deportato nel campo di Dachau premiato con una medaglia dargento e una di bronzo. Doveva essere anche e forse soprattutto la sua festa. Ma così non è stato. A lui e alla figlia, chi festeggia o dice di festeggiare il 25 aprile non consente che appena una cinquantina di metri percorsi a testa alta tra una canea urlante. Pochi passi della Moratti che spinge con coraggio la carrozzina. Difesa soltanto da qualche ragazzone del servizio dordine del sindacato. Quelli tipo armadio a due ante di una volta.
In piazza San Babila enormi casse mandano musica rap. «Cè un rigurgito antifascista, se vedo un punto nero ci sparo a vista». Il ritornello sarà anche una sbruffonata, ma rende il clima. E a mostrare che il re è nudo ci pensa il leader verde Alfonso Pecoraro Scanio. «Oggi è la festa della Liberazione dellItalia dal fascismo - confessa ingenuo -, ma per noi oggi è una festa in più perché è anche la liberazione da Berlusconi». Passano Dario Fo (fascista a Salò) e Franca Rame, fresca di Senato. «Ho detto ai ragazzi di non fischiare la Moratti», spiega. Non servirà. Pochi minuti e il ministro, candidato sindaco del centrodestra a Milano, compare insieme al padre. «Oggi sono qui - spiega - come privata cittadina. Per accompagnare il mio papà che è stato deportato. Io il 25 aprile celebro la festa di tutti gli italiani, di qualsiasi colore politico, di qualsiasi idea e cultura». Troppo per quelli del corteo. E non sono i soliti disobbedienti e no-global, provocatori da emarginare. No, questi sono quelli «normali», uomini e donne del sindacato o dellUnione che stanno in testa al corteo ufficiale. Se si fosse da unaltra parte si potrebbe dire che la Moratti è un drappo rosso davanti al toro. Ma qui i drappi rossi sono fin troppi e i Tricolori, chiesti alla vigilia, forse appena due. Leffetto è comunque lo stesso. La folla si scatena. Urla incivili, spintoni, fischi assordanti. I soli insulti ripetibili sono «fascista» (urlato con il pugno chiuso), «sei la rovina dellItalia», «vattene a casa», «hai rovinato la scuola, non ti lasceremo rovinare Milano», «Moratti bocciata» e tutti in coro «scuola pubblica, scuola pubblica». Per gli altri epiteti cè il bip. Una vergogna. Ma lei non si scompone. A proteggerla, come detto, arrivano gli armadi del servizio dordine del sindacato. Il padre guarda stranito. Lui è Paolo Brichetto Arnaboldi, la Resistenza nella brigata Franchi di Edgardo Sogno a strettissimo contatto con i servizi segreti inglesi e americani. Uno «che aveva fegato», raccontano. Arrestato dalla Gestapo a Torino e deportato a Dachau fino allarrivo del generale Patton. Un pedigree di tutto rispetto. Ma non sufficiente. Cinquanta metri e si torna a casa. «Non ho mai avuto paura - sorride nonostante tutto la Moratti -. Avevo messo in preventivo i fischi e le contestazioni. Ne è valsa la pena. Sono andata in corteo con mio padre, un eroe della Resistenza, perché credo in alcuni valori: la libertà, il primato della persona e della famiglia, il primato della società civile, la solidarietà».
Qualche contestazione («buffoni, servi dei padroni») dai centri sociali per il segretario Cgil, Guglielmo Epifani e per Savino Pezzotta, ex segretario Cisl. Non ha problemi a sfilare, invece, Romano Prodi. «Santo subito» urla un gruppo di vecchi comunisti al vecchio democristiano. E in molti lo salutano sventolando lUnità. Alla notizia degli insulti alla Moratti sprizza, come disse qualcuno, bonomia da tutti gli artigli. «Disapprovo pienamente i fischi, questa è una festa dellunità e non delle divisioni», timbra da impiegato del catasto il cartellino della solidarietà. Si accoda il diessino sindaco di Roma. «Esprimo solidarietà a Letizia Moratti - esterna Walter Veltroni -, ogni forma di intolleranza devessere condannata». Il sindaco Gabriele Albertini, invece, rende «omaggio alla lealtà e al coraggio di Letizia Moratti che ha partecipato alla manifestazione pur sapendo che sarebbe stata contestata». Un orrore che «il corteo abbia usato i valori di tutti contro qualcuno». Sprizza veleno, invece, e giustifica fischi e insulti Gerardo DAmbrosio, il neo senatore ds che ha percorso la via giudiziaria al Palazzo.
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