Milano Si fa presto a dire «articolo 18 per tutti» quando chi lo dice, Cgil in testa, è il primo che da quest'obbligo è salvaguardato per legge. Un sindacato che licenzia (anche) senza giusta causa è il peccato originale che rende stucchevoli certe dichiarazioni bellicose, tant'è che qualche leader comincia a rimangiarsele. Ordinare alle imprese regole e vincoli suona come un sarcastico «armatevi e partite», ma oggi che le parti sociali si battono il petto come sedicenti baluardi dei precari nessuno lo ricorda. Per la Cgil in particolare la questione dei licenziamenti è una ferita aperta, perché nei tribunali d'Italia dove gli ex dipendenti Cgil (che hanno anche un blog, licenziatidallacgil.blogspot.it ) reclamano diritti e giustizia in nome della legge vengono fuori gli scheletri del sindacato rosso. Ci sono tre storie, curiosamente tutte siciliane, che raccontano meglio di altre la realtà del sindacato guidato da Susanna Camusso. Sul banco degli imputati ci sono gestioni un po' allegre, bilanci che non stanno in piedi, dirigenti che si permettono qualche libertà di troppo, neanche fossero dei «padroni». C'è Luca Lecardane, licenziato dalla Cgil di Palermo che rischia anche di perdere la casa nella quale vive perché non può permettersi di pagare il mutuo. Dalla Cgil dove si occupava di vertenze full time, dalle 9 alle 13 e dalle 15.30 alle 19 dal lunedì al venerdì, poi viene spostato all'Ecap con un part-time al 50%. Poi viene cacciato dalla Cgil che gli dice «da noi facevi volontariato». O Romina Licciardi da Ragusa, che ha denunciato la Cgil per «lavoro nero» (sic!) e piano piano sta avendo ragione in tribunale.
Prendete Alma Bianco da Messina, ad esempio. Dopo mesi di carte bollate le riconoscono 5mila euro di arretrati che il sindacato aveva detto di aver già pagato, su Tfr e stipendi sarà questione di mesi. «Ora siamo alle prese con il processo penale - dice al Giornale il suo legale Bonaventura Candido - perché la Cgil si è vendicata accusando la mia assistita di aver distratto dei fondi». La Bianco ha firmato assegni Cgil falsificando la firma del segretario generale. «Ma era autorizzata, le dicevano il segretario non c'è, Alma firma e paga». L'ex dipendente dice che il meccanismo andava avanti da 20 anni.
Un assegno firmato falsamente dalla Bianco era stato rubato (e ritrovato), il segretario aveva detto ai giudici che l'aveva firmato lui ma i Ris dicono che la firma non è sua. La querela è un boomerang, il pasticcio dà l'idea di come la gestione degli assegni della Cgil messinese fosse parecchio allegra. E altrove? Chissà...- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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