Integralisti anche in Tunisia: assalto in sala per il film blasfemo

Urlavano «la Tunisia è uno stato islamico». Una falsità. Ma anche un obiettivo ambizioso. Un incubo che finora non aveva sfiorato i sogni dei tunisini ma che da ieri comincia a turbarli sul serio. Perché non erano un sogno ma una violenta realtà quei cento uomini incappucciati che domenica sera hanno circondato un cinema di Tunisi. Una ventina di loro, qualcuno a volto scoperto, al grido di «Allah è grande» ha sfondato le porte di ingresso, spaccato vetrate e strappato manifesti, fino all’irruzione in sala, alle minacce agli spettatori, rei di aver scelto un titolo «miscredente», al tentativo di fuga della gente terrorizzata infranto davanti alle porte sbarrate dagli assalitori. Un’azione studiata nei minimi particolari. Perché domenica sera in quel cinema di Tunisi non c’era una pellicola qualunque, ma si proiettava un film dal titolo «blasfemo» per quei signori dell’islam impegnati a imporre il loro credo con la violenza: «Né Dio, né padrone», della regista Nadia El Feni. Momenti di terrore interrotti solo dopo un’ora e il tardivo intervento della polizia.
È così che Tunisi scopre la paura. Da una parte gli spettatori inermi, il Paese laico che tenta la svolta dopo la caduta del presidente Zine El Abidine Ben Ali, col tradizionale appoggio della classe politica non confessionale e delle Forze Armate. Dall’altra gli integralisti islamici, che vogliono approfittare del momento di instabilità vissuto dal Paese per prendersi quello che gli è negato dagli anni Cinquanta, dai giorni dell’indipendenza del leader Habib Bourguiba, fondatore dello Stato laico, a quelli della lotta contro l’islamismo radicale di Ben Ali. A distanza di quattro mesi dalle elezioni del 23 ottobre per la nascita dell’Assemblea costituente che dovrebbe traghettare il Paese verso la nuova era democratica, la posta in gioco in Tunisia si fa altissima. E si chiama laicità dello Stato. Con gli integralisti che escono allo scoperto rendendosi protagonisti di un’azione tanto spettacolare quanto esemplare. Ieri poi una nuova mossa. Il principale partito islamico di Tunisia, Ennahdha, ha abbandonato la commissione incaricata di elaborare le riforme. I motivi li spiega il leader del movimento, Rached Ghannouchi, che accusa l’organismo di aver «preso una deviazione» e di non accettare le critiche fatte da Ennahdha (Rinascita), contrario a una normalizzazione dei rapporti con Israele.
Ma i segnali di un’escalation degli integralisti, di un iperattivismo dell’islam radicale, in Tunisia ci sono già da qualche mese. A metà febbraio la manifestazione di 40 fondamentalisti davanti alla sinagoga di avenue de la Liberté a Tunisi, al grido di «Ebrei, l’esercito di Maometto sta tornando». Poco dopo il tentativo di dar fuoco a un bordello, simbolo della tolleranza tunisina verso la prostituzione. In mezzo l’uccisione di un prete salesiano, sgozzato nel garage di una scuola cattolica di Manouba e il tentativo dei salafiti di mettere le mani sul controllo delle moschee.

Per questo il ministero per gli Affari religiosi è stato autore di un appello affinché le moschee restino luoghi di preghiera e non di esercizio di potere politico e di diffusione dell’estremismo. Un appello a cui sono rimasti sordi gli uomini che vogliono la sharia in Tunisia. E che da domenica sono pronti a battersi con la violenza per averla.

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