Roma

«Integrazione? Non si fa ribattezzando le scuole»

E se la scuola elementare Giulio Cesare al Prenestino venisse intitolata a Gengis Khan, fondatore dell’impero mongolo, o al rivoluzionario ghanese Kwame N’Krumah? E se l’istituto Galileo Galilei all’Esquilino diventasse l’Abu Abdullah Muhammad Bin Musa Al-Khwarizmi, in omaggio all’inventore degli algoritmi? Non è una provocazione e nemmeno un’ipotesi remota: stava per succedere alla Carlo Pisacane di via dell’Acqua Bullicante, che si sarebbe trasformata nella Makiguchi Tsunesaburo (è il nome di un educatore giapponese, cofondatore della chiesa buddista Soga Gakkai), se non fosse stato per il tardivo dietrofront del consiglio d’istituto, preceduto da una valanga di polemiche a ogni livello.
Ieri mattina siamo andati a raccogliere le opinioni di dirigenti scolastici, docenti e genitori, in primo luogo immigrati, per capire se sono favorevoli o meno a iniziative simili. Risposta unanime: «Non è in questo modo che si fa l’integrazione, i problemi ci sono in generale, riguardano bambini e adulti, e non si risolvono certo con trovate del genere», come spiega seria Oksana, 35 anni, di fronte all’ingresso della scuola Giulio Cesare di via Conte di Carmagnola, una materna ed elementare che dista poche centinaia di metri dalla Pisacane. «Qui c’è maggiore stabilità e tranquillità - rileva il preside Mario Picchiassi - gli stranieri sono il 15-20 per cento del totale degli alunni. Per quanto mi riguarda non vedo alcuna ragione per cambiare il nome all’istituto».
All’Esquilino, in via Bixio, c’è un’altra elementare statale, la Di Donato, con un alto tasso di stranieri nelle classi, circa la metà, in rappresentanza di 45 paesi del mondo. Incontriamo Amir, che passeggia avanti e indietro mentre aspetta che il figlio finisca le lezioni: «Ho iscritto Paul qui perché sapevo che l’integrazione viene messa al primo posto. A me interessa la qualità e il livello di servizi che un istituto è in grado di garantire, non lo scelgo mica in base alla targa che vedo attaccata al cancello». Girato l’angolo, su via Conte Verde, ecco la facciata maestosa del tecnico industriale Galileo Galilei. Dal muro, qualche piano sopra il portone, pendono la bandiera italiana e quella europea. «Direi che non si è mai lamentato nessuno per questo», assicura un docente con un tono parecchio sarcastico, prima di aggiungere: «Questo è un paese senza memoria, cerchiamo quantomeno di lasciare i riconoscimenti simbolici a chi si è battuto per renderlo grande».
Intanto non mollano la presa le mamme della Carlo Pisacane. Flora Arcangeli, presidente del comitato per l’integrazione che le rappresenta, ha annunciato che oggi saranno nel quartiere «per raccogliere le firme di una petizione popolare, per chiedere che il nome della scuola rimanga lo stesso e una più equa distribuzione tra bambini italiani e stranieri nelle classi». Con un timore di fondo: «La sospensione della decisione della direttrice didattica - ha spiegato la Arcangeli - non equivale a una rinuncia di questo proposito».

Makiguchi Tsunesaburo, insomma, rimane in agguato.

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