Controcultura

Un intellettuale "totale" al servizio dell'uomo

Pittore, scrittore, critico ed editorialista controcorrente: apparteneva a una specie estinta

Un intellettuale "totale" al servizio dell'uomo

Con la mostra Testori ritrovato, a Casa Testori, a Novate, si aprono, con leggero anticipo, le celebrazioni del centenario del grande intellettuale (1923-1993). L’occasione della mostra, dedicata al Testori pittore, è il recupero, da parte dell’Associazione Giovanni Testori di un importante nucleo di dipinti e disegni riemersi dopo vent’anni di oblio. L’esposizione si concluderà il 21 gennaio 2023 (tutte le informazioni sul sito casatestori.it). Anche dal punto di vista editoriale, il centenario si apre con una novità assoluta: Luchino, in uscita per Feltrinelli a cura di Giovanni Agosti. Considerato perduto, questo straordinario ritratto di Luchino Visconti, steso da Giovanni Testori, è inaspettatamente riemerso. Era stato elaborato nei primi mesi del 1972, dopo Morte a Venezia e mentre era in corso la lavorazione di Ludwig. Di lì a poco una memorabile rottura tra i due con la decisione, dichiarata (ma evidentemente non portata a termine), di distruggere il manoscritto. Luchino costituisce un profilo, a più strati, di una delle grandi personalità della cultura del XX secolo, osservata da chi si era trovato in più occasioni a collaborare con lui (dalla sceneggiatura di Rocco e i suoi fratelli alle messinscene di L’Arialda e La Monaca di Monza).

E poi c'era il «fattore umano». Tutte le volte che penso al mio maestro, e padre in seconda, Giovanni Testori, questa espressione sorge spontanea. Ma perché proprio quando penso a lui? Non siamo forse (forse) tutti uomini?

Eppure fu proprio il «fattore umano», e non altro, a indurre un gruppo di ventenni, tra cui anche il sottoscritto, ad andarlo a cercare, nel 1978, nei giorni terribili tra il rapimento di Aldo Moro e il suo assassinio. Tra Via Fani e Via Caetani. Leggevamo i suoi articoli in prima pagina sul Corriere ed erano articoli diversi dagli altri, articoli di un uomo che parlava in modo diverso da tutti gli altri. Diverso in cosa, non avremmo saputo dirlo. Le sue analisi erano più intelligenti delle altre? I suoi discorsi più persuasivi? Aveva un'immagine del mondo più coerente da proporre a lettori abbastanza spaesati dagli eventi in corso?

Per chi si fosse collegato in questo momento, stiamo parlando di uno dei più grandi intellettuali, non solo italiani, del XX secolo; di un uomo che fascisti, cattolici, comunisti hanno messo via via all'indice, in tempi diversi; di un drammaturgo i cui spettacoli sono stati interrotti talvolta dalla polizia con tanto di sirene e camionette, altre volte dagli insulti veementi di un pubblico abitudinario; di un romanziere autore di capolavori che ancora oggi destano lo stupore di lettori poco abituati alla grandezza; di un critico che ha contribuito in modo decisivo alla rivalutazione definitiva di intere epoche della Storia dell'Arte.

Ma soprattutto stiamo parlando di un uomo.. «Quando mi chiedo che cos'è un uomo» disse una volta don Giussani «penso sempre a Giovanni Testori». Ma cosa significa questo?

Possiamo rispondere solo con i testi e le memorie. E la memoria è importante perché, se ben coltivata, sa trattenere differenze che la sola lettura dei testi non garantisce.

Come la sua capacità di commuoversi profondamente davanti a tutto. Lo vedo ancora nitidamente scoppiare a piangere dopo aver letto sul giornale la notizia di quel ragazzino di Renate che uccise l'anziana zia a martellate, o di quel tossicodipendente che strangolò una bambina nel tentativo di rubarle la catenina d'oro: la stessa commozione con cui commentò l'attentato a Giovanni Paolo II o il rapimento di Aldo Moro e la strage di via Fani. Non si trattava di semplice emozione, ma di una specie di immersione dell'uomo in toto dentro gli eventi, da cui emergeva un'intelligenza diversa, non divisiva ma comprensiva. La sua pietà andava tanto alle vittime quanto agli assassini perché tutti nati, tutti venuti al mondo, tutti amati e cresciuti da una mamma, o se non da lei comunque da qualcuno, forse una zia, o forse Dio stesso, al quale Testori rese le armi dopo lunghissime lotte. Mi sono chiesto tante volte cosa fosse Dio, per lui. Era, credo, l'ultima pietà, l'ultimo amore - anche dopo l'odio del padre e il ripudio della madre -, l'ultimo sguardo buono senza il quale nessun uomo potrebbe esistere e vivere. L'ultima carezza della madre. L'ultima misericordia dovuta anche al ribelle, al criminale. Tante volte mi ha raccontato la storia di quell'uomo ammanettato, che i gendarmi conducevano in prigione e che lui bambino in compagnia della mamma incrociò per strada. L'uomo si voltò e gli disse ciao, allora lui chiese alla mamma perché lo avevano arrestato. Perché, rispose la mamma, ha rubato una mucca. Una volta interruppe il suo racconto e disse: «Quello che ho fatto per tutta la vita è il tentativo di dire quello che ho provato in quell'istante».

La maestà della vita (Rizzoli-Bur) è il titolo del libro (speriamo di rivederlo presto in libreria!) che raccoglie una buona parte dei suoi interventi giornalistici non di argomento artistico, quelli che per un certo periodo finirono in prima pagina sul Corriere, grazie all'allora Direttore Franco Di Bella. Ed è un titolo esattissimo, perché sintetizza il suo sguardo al mondo: quello sguardo che erompe in tutte le fasi della sua opera e in tutti i generi da lui frequentati: dal romanzo alla poesia, dal teatro alla critica d'arte, fino al giornalismo. Erompe nella sua ira, nel suo pianto, nella sua allegria più temibile dell'ira, nella sua continua commozione davanti a tutto, quella commozione che lo abilitava - lui come Pasolini - a parlare di tutto, sfidando gli specialisti e gli esperti e tutti quelli che dicevano «questo è affar mio».

Questa capacità di attraversare discipline e schieramenti per far prevalere - lo dico così, candidamente - le ragioni dell'umano, della vita, le ragioni di chi non ha ragione è ciò che chiamo «fattore umano». Lo stare da uomo davanti alla realtà, senza fare passi indietro, senza cadere nella tentazione di dire «non mi riguarda».

Tutto questo ci manca enormemente. Ma ciò che, oggi, chiamiamo cultura (e c'era anche allora, però con qualche eccezione che oggi non esiste più) ha lavorato affinché non dovessimo più sentire questa mancanza, accontentandoci di una cultura fatta di buoni prodotti medi (o grandi ma rigorosamente di nicchia) e di un teatro per abbonati e abitudinari.

Le cose cambiarono in fretta. Nonostante le celebrazioni, uomini come Pier Paolo Pasolini e Giovanni Testori diventarono, per la cultura, errori da non ripetere. Una volta cambiato il Direttore del Corriere, Testori migrò dalla prima pagina alla terza, la pagina culturale di allora. Pagine destinate alla cultura, a un pubblico raffinato, alle opinioni, al passatempo di un certo livello. I giornalisti, che da sempre fanno i conti col potere vero, sanno come trattare la cultura e hanno imparato a non lasciare che la cultura - quella vera - strabordi dal ghetto di quelle pagine. Questo non significa che qualche scrittore non transiti anche oggi dalla prima pagina, ma solo a patto che le sue nobili parole non infastidiscano chi tiene la barra in mano.

Milano, grazie a Dio, è ancora popolata da persone che trattengono la sua memoria. Penso anzitutto alle realtà teatrali da lui fondate, come il Teatro Franco Parenti, nato - è bene ricordarlo - in opposizione al mainstream (oggi sempre più tale) del Piccolo Teatro, dove il suo ribellismo straziato, cristiano e bestemmiatore, trovò una casa e grandi amici; o come il grande Franco Branciaroli, che ha pagato a caro prezzo il segno lasciato su di lui dalla preferenza che Testori gli accordò. Penso all'enorme lavoro di Casa Testori, a Novate, dove l'impegno per la valorizzazione di giovani artisti e per la conoscenza del Maestro convive con la sua forza tellurica. Ciò nonostante, l'epoca di Testori è lontana. Nello stesso tempo in cui i disturbatori furono allontanati dalle prime pagine, gli editori dovettero iniziare a fare i conti con i bilanci. La cultura non poteva più permettersi di andare in perdita, il mecenatismo non reggeva più l'urto dei tempi, e il fattore umano ha lasciato il campo libero al mercato, che non è necessariamente disumano, però ragiona secondo altri criteri, altre strategie.

La cultura è diventata un settore produttivo, un capitolo di spesa nei bilanci pubblici, un investimento oculato per le fondazioni. Mi piacerebbe sapere quanto è stato utile, in vita, Pier Paolo Pasolini al business culturale. È mai finito nelle liste dei best-sellers? Gente come lui e come Testori hanno mai vinto il Premio Strega? I tanti festival letterari che, dopo la loro morte, si sono moltiplicati come funghi sul nostro territorio li avrebbero ospitati, da vivi, al tempo in cui vissero?

Ma non è un caso che queste cose siano nate dopo la loro morte, quando saloni plaudenti e convegni non devono più temere che il festeggiato compaia, in fondo alla platea, a chiedere: Ma voi di che c..

. state parlando?

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