Dalle colonne del Corriere, Alberto Asor Rosa (nella foto) si pregia di farci sapere d’essersi, da tempo, dimesso da «intellettuale di sinistra». Ne consegue che gli «intellettuali di sinistra» non esistono più. Estinti. Esistevano fino alle dimissioni di Asor Rosa, ovvero, a giudizio del medesimo, dell’unico e solo «intellettuale di sinistra». Essendo gli altri, cioè tutti coloro che si professavano e tuttora si professano tali, solo robetta. Nient’altro, sostiene sempre Asor Rosa, che «politici di sinistra».
Assieme al dimettersi da italiano, il dimettersi da intellettuale è una costante tentazione dell’«intellettuale di sinistra». I più l’hanno fatto (o comunque annunciato) reagendo o a una mancanza di riguardo nei loro confronti o al sopraggiungere di una realtà - come ad esempio la vittoria elettorale di Berlusconi - che la micidiale potenza del loro intelletto non è bastata a scongiurare. In sostanza, dunque, le dimissioni stanno a significare o il «non mi meritate» o il «e adesso, stupidi ingrati, sbrigatevela da soli». Femminea, isterica reazione da primadonna che scaturisce da un ego di proporzioni smisurate unito ad una spocchia, ad una arroganza altrettanto fuori misura. Zampilla dalla presunzione di essere il sale della terra, unico interprete autorizzato della verità, oltreché custode del bene comune e degli ideali di giustizia e di libertà. Dall’essersi elevato a insindacabile giudice di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato, di chi è nel giusto e di chi è nell’errore, arrogandosi il diritto di rilasciare le relative patenti, i relativi attestati di limpieza de sangre.
L’intellettuale di sinistra modello Asor Rosa è dunque l’altezzoso megalomane che dopo aver individuato uno per uno i mali dei mondo garantisce di poterli guarire se solo l’umanità avesse la pazienza di prestargli orecchio quando le indica come deve pensare e i potenti della Terra l’umiltà di seguire le sue direttive. La sua arma segreta, l’arma segreta degli intellettuali che possiamo tranquillamente definire rosasoriani, è la costante ed oculata saccenteria unita alla presunzione di dominare la Storia sorvegliandone gli orari ferroviari. Essi sanno - essi dicono di sapere - da dove e quando partirà il treno, dove arriverà, seguendo quali binari, effettuando quali fermate fino a giungere alla meta finale.
L’arma palese e sempre impiegata è invece la delegittimazione. Essa consente ai rosasoriani di sancire che alcuni intellettuali di idee diverse dalle loro non sono degli avversari da affrontare (e immancabilmente vincere, ovviamente) in un leale confronto dialettico, ma nemici del Vero e del Giusto, sabotatori dell’orario ferroviario della Storia da mettere al bando, da deportare in un gulag virtuale. Tutto ciò senza scomodare gli argomenti, ma limitandosi ad annichilire l’avversario squalificandolo con una aggressione rapida e distruttiva.
Nel suo La parola e il silenzio George Steiner individua l’atto di nascita dell’«intellettuale di sinistra» nel proclama che 1905 Lenin lanciò dalle colonne della Novaja Zizn’: «La letteratura deve diventare letteratura di partito. Abbasso i letterati non partigiani», proclama che finì per essere considerato un canone generale dell’interpretazione marxista della letteratura. E fu così che al primo loro congresso (1934) gli Scrittori sovietici sostennero rigorosamente la tesi leninista spellandosi le mani allorché Zdanov gridò al microfono: «La letteratura sovietica non teme l’accusa di essere tendenziosa. Sì, la letteratura sovietica è tendenziosa, perché in un’epoca di lotta di classe non c’è e non può esistere una letteratura che non sia letteratura di classe, che non sia tendenziosa, che si dichiari non-politica».
A questi uomini, a questa ideologia - commenta Steiner - dobbiamo la campagna più conseguente e tragicamente vittoriosa che mai sia stata intrapresa per arruolare o distruggere le energie formative della fantasia letteraria. Discussioni interminabili se questo romanzo o quella poesia fossero o no in armonia con la linea del partito; striduli esercizi di autodenuncia da parte di autori che per un momentaneo fallimento di destrezza avevano assunto una posizione «scorretta» su qualche aspetto del realismo socialista; richieste incessanti che la narrativa, la poesia e il dramma fossero forgiati in «armi per il proletariato». Il critico militante, impegnato, aveva - ed ha - solo due funzioni: interprete del dogma e occhiuto inquisitore di eresie. È da quel vaneggiante tributo alla supremazia delle idee nelle cose umane che germoglia la figura dell’«intellettuale di sinistra», è lì che sbocciano e si riproducono gli Asor Rosa.
Una casta, sospettosa e dispeptica, quella degli «intellettuali di sinistra», affetta dalla sindrome di Wanda Osiris, ovvero malata di protagonismo, avida di applausi, riconoscimenti, tributi e fasci di rose ovviamente rosse. Meglio di altri Ernesto Galli della Loggia ha interpretato il senso di quella che dagli interessati viene magnificata come «diversità antropologica» dell’«intellettuale di sinistra»: «Nasce da un fortissimo retaggio storico che ha convinto la sinistra che essa, ed essa sola, rappresenta la positività del mondo reale, dal progresso, alla giustizia, alla libertà. Per effetto dello storicismo la sinistra è abituata a vedersi come rappresentante della verità e del bene. Se dunque qualcuno non accetta - specie se intellettuale - questa verità così evidente non può essere che uno sciocco o un venduto al potere (o un ladro, un mascalzone ecc.). La sinistra, insomma, non vuole essere un programma, ma innanzitutto un’etica. L’etica. Pertanto gli avversari rappresentano sempre e comunque il male. Pertanto chi da destra passa a sinistra è un “intellettuale onesto”, un “sincero democratico”. Chi da sinistra passa a destra è un “voltagabbana”».
L’intellettuale è figura antica e per rintracciarne l’origine bisogna risalire al Petrarca passando per Erasmo. Col tempo, ha perso molti dei suoi connotati, snaturandosi e finendo per diventare addirittura una professione, fatto sta che nessuno sa più dire cosa si intenda per intellettuale, qualifica che oramai non si nega a nessuno. Non la si è negata, solo per fare qualche esempio, ad Adriano Celentano o Luigi Tenco, entrambi eletti, a furor intellettuale, al rango di maîtres-à-penser. Solo una specializzazione, non saprei come altrimenti chiamarla, dei professionisti dell’intelletto è puntigliosamente definita e circoscritta: quella dell’«intellettuale di sinistra». Ruolo dal quale, volendo punirci o forse umiliarci o forse le due cose insieme, Alberto Asor Rosa afferma di essersi dimesso. Negli intenti, forse la notizia avrebbe dovuto essere una bomba.
Paolo Granzotto
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