Internet è «pressappoco» meglio la carta stampata

Caro Granzotto, «Is Google make us stoopid?». Il gioco di parole individua con precisione un fenomeno che sta caratterizzando la nostra era digitale: l’uso del web causa una progressiva difficoltà a mantenere a lungo la concentrazione su letture di una certa lunghezza. Forse proprio il salto continuo da un’informazione all’altra, tipico della navigazione in rete, potrebbe modificare la nostra struttura cerebrale. E venendo così meno una lettura riflessiva, si corre il rischio che la conoscenza sia meno approfondita. Finiremo per leggere i Promessi Sposi in sette minuti?


Google ci rende stupidi? Is Google making us stupid? - Google ci rende stupidi? - è il titolo, lo ricordo perché non tutti i lettori mangiano pane e Internet, abbia pazienza, caro Luglio, di un articolo di Nicholas Carr, l’autore di Il lato oscuro della Rete. Naturalmente Carr non sostiene che gli «internauti» siano destinati a instupidire, ritiene però che stare incollati al computer per ore, «navigando» di qua e di là, possa favorire l’instupidimento. A parte il fatto che per dedicarsi a quella attività - «navigare» a lungo senza un preciso approdo, al solo scopo di curiosare dove capita capita - bisogna già essere fortemente predisposti all’instupidimento, direi che Carr ha ragione, caro Lugli. Internet, che di per sé è la meraviglia delle meraviglie, è l’ultimo e probabilmente più efficace strumento di circiterizzazione (scusi la parolona, che chiarisco immantinente) del sapere. Circiter, in latino, sta per «all’incirca», «pressappoco». Ecco dunque il guaio che può combinare Internet: sviluppare il pressappochismo, quella conoscenza superficiale che chiamiamo infarinatura, atteggiamento già alimentato dalla così detta civiltà dell’immagine («questa foto vale un articolo, questo film vale un romanzo» si sente ripetere spesso) e dalla televisione in particolare, coi suoi ritmi seriali, sincopati, tutto uno spot. Non si tratta, pertanto, della sola impossibilità di mantenere l’attenzione mentale su ciò che si legge, ma anche, privilegiando la velocità, di rinunciare all’approfondimento e alla riflessione. Ecco perché hanno tanto successo gli slogan, i modi di dire, i luoghi comuni e le formule verbali delle quali fa grande uso la politica: perché adattandosi alla mutazione in corso della pratica, dell’esercizio intellettuale, sono fatte proprie senza sentire il bisogno di appurarne la sostanza e la veridicità. Ed è soprattutto Internet, che la sconsiderata opinione comune ritiene essere la più genuina e veritiera fonte del sapere, ad appannare quella razionale pratica del dubbio che rimane l’insostituibile ricorso per impedire che cervello vada all’ammasso.

Google non renderà stupidi, ma è certo in grado di incrementare la già cospicua mandria del popolo bue (non per tirare l’acqua al mio mulino, ma va da sé che il miglior antidoto al circiterismo è la carta stampata, è il giornale, meglio se con la maiuscola).

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