Perdoni il lettore se comincio questo pezzo con una notizia: al Corriere della Sera c'è maretta. Peggio, burrasca. Le liti in via Solferino sono endemiche, ma quella di ieri - sviluppatasi e trattata nell'assemblea dei giornalisti - è più importante delle solite. E, in qualche misura, ha coinvolto il signor direttore bis Ferruccio de Bortoli, il quale non ne può più di stare seduto sulla poltrona numero uno e cerca in ogni modo di farsi buttare giù, ma non gratis. Ha ragione. Al suo posto farei lo stesso. E direi: vi sto sullo stomaco? Arrangiatevi. Mi licenziate, mi pagate, anzi, strapagate, e io tolgo il disturbo senza fiatare. Se aspettate che mi dimetta di mia sponte, senza l'incentivo del grano, andate a farvi benedire.
Oddio, Ferruccio non è il tipo da parlare così schiettamente, ma la sostanza del suo comportamento non muterà: egli vuole la «liquida», che è l'unica arma di difesa e di offesa dei monarchi giornalistici. Chi mi legge si domanderà che cosa stia succedendo nella storica testata. Ve lo dico subito. L'azienda - Rcs - vive da anni in una situazione difficile. Per un motivo banale, ma decisivo: essa ha speso a lungo più soldi di quanti ne abbia incassati, inseguendo sogni di gloria. Per esempio, l'acquisto di giornali spagnoli che furono pagati molto ma valevano poco, o niente. La cassa non solo si è svuotata, ma si è indebitata.
Oggi i bilanci del baraccone rizzoliano piangono lacrime amare. Il Corrierone, pur essendo ancora in piedi (in equilibrio precario) non ce la fa a saldare il deficit provocato dai dirigenti balordi del gruppo. Cosicché alla fine di ogni anno è una tragedia. Bisogna tappare i buchi. Gli azionisti all'idea di mettere mano al portafogli non fanno salti di gioia. E si dannano l'anima per tagliare di qua e di là le spese onde recuperare denaro. Sembrano Matteo Renzi alle prese con la spending review. Poveracci. Sono titolari di banche e di industrie fiorenti, ma se occorre cacciare quattrini assomigliano a barboni. Gli imprenditori sono tutti uguali: simpatici quando guadagnano, odiosi quando ci smenano.
Senza farla tanto lunga, oggi succede quanto segue. Le quote azionarie più consistenti sono della Fiat, nel senso di John Elkann. Poi ci sono le partecipazioni di Diego Della Valle e di varie banche. Questa gente, però, non va d'accordo neanche sulla scelta degli aperitivi durante le riunioni consiliari, figuriamoci sulle linee strategiche del bordello editoriale.
Va da sé che un gruppo conciato in questo modo non sia in grado di darsi una regolata sul mercato. Lo stesso Corriere ha grossi problemi: perde copie come un vecchio perde i capelli ed è destinato alla calvizie. Gli altri giornali (compresi i periodici e La Gazzetta dello Sport) si danno da fare, ma il momento è quello che è: non favorevole alla carta stampata. Quando le cose vanno male, e i soci si azzuffano tra loro accusandosi a vicenda del disastro, c'è poco da stare allegri.
Il futuro appare nebuloso. E il presente fa venire i brividi. In ogni caso, quando tutto pare sul punto di precipitare, bisogna reagire. E i padroni del vapore si agitano, e deliberano a capocchia. Di norma il primo provvedimento che adottano è il cambiamento del direttore, cui attribuiscono ogni demerito e mai un merito. Fuori il vecchio, dentro il nuovo nella speranza che quest'ultimo sia un taumaturgo. Illusione. Il Corriere è di per sé un brand. Il timoniere della redazione può essere un valore aggiunto, ma non è mai determinante ai fini del fatturato. Ma questi sono particolari su cui il Consiglio di amministrazione di regola sorvola. Agisce d'istinto. Per cui non mi sorprenderei se mandasse a casa de Bortoli e assumesse un leader capace di fare peggio. Le ipotesi che vanno per la maggiore suffragano il mio dubbio. Secondo radio fante sarebbe pronto a subentrare l'attuale direttore della Stampa, Mario Calabresi. Figlio del commissario di polizia assassinato nel 1972, è molto stimato da Elkann, malgrado il quotidiano torinese non abbia registrato un esplosivo aumento di copie vendute, anzi. Ma questi sono piccoli particolari, almeno nel giudizio degli editori, notoriamente peggiori addirittura dei giornalisti.
Se Calabresi approderà a Milano, Massimo Gramellini prenderà il suo posto - si mormora - a Torino, dove oggi ricopre il ruolo di vice. Contento lui, contenti tutti. Non è finita. Qualcuno sussurra nei corridoi affollati di via Solferino - sede vetusta quanto amata dai redattori corriereschi - che l'alternativa a Calabresi potrebbe essere Giulio Anselmi. Il quale però ha un grave handicap: è troppo bravo e minaccerebbe di raddrizzare le gambe al Corriere. Per cui la sua candidatura sarà scartata - presumo - allo scopo di scongiurare la resurrezione dell'ex primo quotidiano italiano.
Il management del Corriere infatti è attratto dal burrone: desidera finirci dentro in pieno. E se Anselmi glielo impedisse, sarebbe maledetto. Conviene non assumerlo, neppure come direttore editoriale, che è una figura sbiadita, ma non si sa mai...
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