Politica

Le vergogne di Scalfari

Firmò la condanna a morte di Calabresi, si fece eleggere per evitare il carcere e quando Repubblica fu salvata...

Le vergogne di Scalfari

Eugenio Scalfari, fondatore di La Repubblica, nei giorni scorsi ha festeggiato il novantesimo compleanno, una età alla quale a un uomo è quasi tutto permesso. Ma è anche una età nella quale la memoria tradisce. Se alla carenza di fosforo si aggiunge poi una cronica overdose di malafede, ecco che il pensiero diventa falso e l'uomo ridicolo. Ieri, sul suo giornale, Scalfari ha scritto «di provare vergogna per il mio Paese e per me che ne faccio parte» per la mitezza con cui è stata applicata la condanna di un anno per una presunta evasione fiscale a Silvio Berlusconi: «È grave -, scrive Scalfari - che l'uomo possa andare in televisione, alla radio o in qualunque altro luogo a occuparsi di politica in piena libertà». Detto che Berlusconi, primo contribuente italiano, si è sempre proclamato innocente. Detto che il processo in questione, e tutto ciò che ne è seguito, è un concentrato di anomalie, forzature e illegalità. E detto che la legge prevede che qualunque condannato ai servizi sociali può tranquillamente continuare a svolgere il proprio lavoro (quello di Berlusconi è appunto fare politica), vorrei rinfrescare la mente a Scalfari su tre questioni.

La prima: provo vergogna per il mio Paese e per me che ne faccio parte che Scalfari non abbia mai pagato dazio per essere stato tra i primi firmatari del manifesto-condanna a morte che ha portato all'assassinio del commissario Calabresi. La seconda: provo vergogna per il mio Paese e per me che ne faccio parte che il condannato Eugenio Scalfari (15 mesi di prigione erogati nel 1968 per i falsi dell'inchiesta su un falso tentativo di colpo di Stato) per evitare il gabbio elemosinò alla casta della politica l'immunità parlamentare facendosi eleggere alla Camera nelle liste del Psi (a quei tempi funzionava così, caro il mio direttore). La terza questione è più delicata e la meno conosciuta: Scalfari sa bene che deve proprio alla generosità e alla correttezza di Silvio Berlusconi se nulla è mai trapelato, dai tempi della trattativa Mondadori-Espresso, su fatti e accordi privati che quelli sì potrebbero gettare disonore e vergogna non sul Paese ma su di lui, poco irreprensibile moralizzatore (non) da quattro soldi. Anche Scalfari dovrebbe sapere che a novant'anni si può molto, ma non proprio tutto.

Soprattutto alla fine di una vita da camaleonte come la sua.

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