Tanta gente come me non ha capito il nocciolo della questione che sta lacerando i rapporti all'interno della Procura di Milano. Sono usciti numerosi articoli che hanno tentato lodevolmente di spiegare la rava e la fava. Tuttavia, sarà perché la materia è ostica per chi non la mastichi professionalmente, essi non sono serviti all'opinione pubblica per farsi un'idea di quello che sta accadendo nel palazzo di giustizia. Insomma i cittadini non sono in grado di esprimere un parere informato. La domanda è semplice: chi ha ragione, Alfredo Robledo, procuratore aggiunto, che ha acceso la miccia delle polemiche, oppure Edmondo Bruti Liberati, procuratore capo, che cerca di spegnerla?
La risposta invece è estremamente difficile darla. Le sottigliezze formali riguardanti l'attività giudiziaria sono talmente lontane dalla nostra mentalità di persone comuni da non consentirci di comprenderne il senso pratico. Ciononostante, provo a cimentarmi nell'ardua impresa di insegnare a voi, cari lettori, quanto io stesso ho ignorato fino a ieri. Perché dico questo? Chiarisco subito: ho svolto una piccola indagine nell'ambiente delle toghe e ho scoperto cose interessanti. Che riferisco. Premetto di non avere mai visto in faccia Robledo, se non in fotografia, mentre una volta ho incontrato Bruti Liberati, il quale mi ha dato l'impressione di essere cortese.
Veniamo al sodo. Se ciò che ho raccolto non è viziato da cattive interpretazioni della realtà, devo dirvi - schematizzando - che il primo, ovvero il denunciante, è un signore ammodo che ha intrapreso la carriera di magistrato per vocazione. È napoletano. E sappiamo come la scuola giuridica partenopea sia di prim'ordine. Robledo si è distinto in parecchi anni per serietà e autonomia. Vado giù piatto: non ha mai rivelato simpatie o antipatie politiche. Ne avrà, come tutti, ma si è sempre ben guardato dal manifestarle con le parole né tantomeno con gli atti. Volendo esemplificare, egli è una toga d'altri tempi, una specie di alieno nella corporazione della quale pure fa parte. Non ama i riflettori e li evita con cura, non si è mai apparentato con i sindacalisti delle varie correnti in cui è suddivisa la categoria, lavora molto e bene, non è particolarmente ambizioso o, meglio, non è tipo da cercare scorciatoie per arrivare a mete elevate.
Ha i suoi difetti, ammesso che siano tali: è maniaco della precisione, un adoratore delle regole che accetta quand'anche - eventualmente - non le apprezzi. Va sottolineato con forza che non si è mai lasciato andare a critiche verso le norme, né quelle che condivide né quelle che magari aborre. Sicuramente è uno che pensa, ma quel che pensa è un mistero. Lui si attiene alla legge e, forte di questa, va avanti come un carrarmato. Ecce homo. Può piacere o non piacere. Ipotizzo. Nel caso avessi una grana giudiziaria, preferirei avere a che fare con un soggetto del genere o con uno più elastico? Lo dico con qualche tremore: sì, potendo, sceglierei lui. Difatti gradisco maggiormente un giudizio severo che un pregiudizio. Forse sbaglio, ma l'istinto non mi suggerisce altro.
Ora, che cos'ha combinato Robledo da meritare tanto clamore? Ha dichiarato urbi et orbi che il suo capo, Bruti Liberati, in varie circostanze non ha rispettato le norme. Alcune inchieste che spettavano al magistrato di origini napoletane sarebbero state affidate a colleghi che non ne avevano la titolarità. Per quale ragione il suo superiore (termine improprio; le gerarchie in magistratura non dovrebbero esistere: comanda la legge, non chi la applica) avrebbe agito così? Per opportunità. Politica? In senso lato, sì. Vero o no?
Non dispongo di elementi per giurare di che si tratti. Però non svelo un segreto se affermo che Bruti Liberati è un eccellente navigatore. Si è specializzato in quest'arte ricoprendo a lungo il ruolo di segretario di Magistratura democratica, una corrente che suppongo non sia offensivo definire progressista. Si dice che egli sia in sintonia col capo dello Stato, il che - parliamoci chiaro - non è un peccato, ma indica una propensione.
Scendendo dal pero, il sospetto è il seguente: Bruti Liberati è una toga di lusso e il suo posto se lo è conquistato con merito. Questo è fuori discussione. Ma, leggendo le carte della querelle con Robledo, sorge il dubbio che il responsabile della Procura ambrosiana abbia talvolta usato, nella gestione degli affari d'ufficio, criteri ispirati più alla prudenza che al resto. Naturalmente è tutto da verificare.
Il punto però è delicato e riguarda l'amministrazione della giustizia: chi ha in mano il pallino in Procura, come si deve comportare? Secondo la legge o secondo un concetto estensivo della medesima che sfiora la necessità di tenere conto della situazione? Sono consapevole di ricorrere a un linguaggio curialesco: lo faccio perché desidero evitare grane. Quando si parla di magistrati è obbligatorio stare schisci, come dicono a Milano. Ergo, sto appiattito. Ho già tanti problemi con la giustizia a causa di questo mio lavoro maledetto, e non desidero aggravarli. Chiaro?
In conclusione, pongo un quesito a chi ha resistito nella lettura fino a questo punto: conviene che un magistrato sia un rompiballe capace di non guardare in faccia a nessuno o un abile procuratore che, pur attento alla propria funzione, si preoccupa di mantenere determinati equilibri? Io scelgo Robledo, mi fido di lui.
Pur avendo la sensibilità di non sparare su Bruti Liberati.Sono persuaso che le regole siano sacre. Se sono inadeguate, si cambino esse e non gli uomini pagati allo scopo di rispettarle. La giustizia non è un chewing gum.
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