Quando una cosa è totalmente inutile, tutti ne parlano con foga. Pagine e pagine di giornale. Servizi televisivi a iosa. Perfino dibattiti. Il superfluo appassiona. Pensate che ogni anno, in questa stagione, puntuali come il destino arrivano gli esami di maturità. E nelle riunioni noiose e ripetitive di redazione c'è sempre un tizio con le lenti da miope che salta su e dice: chi fa il pezzo sulla maturità? Il direttore alza gli occhi al soffitto e sbuffa: già, me n'ero dimenticato. Si capisce lontano un chilometro che non è seccato perché colto in fallo di memoria: figuriamoci. Il problema è che non ne può più di occuparsi degli studenti che per la prima volta nella vita affrontano una prova seria, presentandosi davanti a una commissione di professori (esterni) che li giudicheranno degni o no di essere considerati adulti e preparati.
Preparati a che? In redazione non manca mai uno spiritoso rompiballe che sghignazzando risponde: preparati all'adulterio. Che battuta! Quando si parla di esami di maturità emerge in ciascuno di noi, inevitabilmente, il liceale di terza B che fu e che non perde occasione per divertire i compagni (i colleghi). Quando, ai tempi, eravamo in aula e qualcuno diceva una qualsivoglia sciocchezza, la classe si sbellicava. L'insegnante sopportava dieci secondi poi, scocciato, con un pugno sulla cattedra, invitava a smetterla di fare i fessi. Tornava il silenzio. Ma durava poco. Bastava che cadesse sul pavimento un astuccio da un banco e la ridarella - notoriamente contagiosa - esplodeva di nuovo. Il docente sconfitto sorrideva e scuoteva la testa.
La scena che ho appena descritto - suppergiù - si ripete ogni 12 mesi, in giugno, nelle nostre riunioni allorché all'ordine del giorno si presenta la necessità di vergare un articolo (preferibilmente due o tre) sulla maturità. Non c'è giornalista che abbia il coraggio di dire apertamente di fottersene di questo rito in cui sono coinvolti milioni di ragazzi, tra i quali ormai i nostri figli. E allora si attacca a snocciolare qualche idea per trattare il tema in modo originale. Potremmo intervistare uno psicologo che spieghi lo stato d'animo dell'esaminando, oppure un esperto che suggerisca come superare l'ansia, oppure consultare un dietologo in grado di elencare una serie di alimenti da consumarsi alla vigilia degli scritti e che aiuti il povero studente stressato a rendere al massimo.
Qualsiasi banalità è accolta, magari senza entusiasmo, ma non scartata. Un minimo di eccitazione si avverte allorché un capo della sezione culturale, aggrottando la fronte per dimostrare che è un intellettuale, consiglia di fare un'inchiestina per sondare i cosiddetti Vip (politici, scrittori, registi, attori e bischeri vari) affinché raccontino le loro esperienze di studenti. Questa proposta - lo dico perché ho una pratica semisecolare - ottiene unanimi consensi. Sempre. Il Vip è sacro e merita di essere ascoltato.
Il dì appresso, apri il giornale e leggi una collezione di luoghi comuni - i medesimi pubblicati l'anno precedente - da far accapponare la pelle. Gli intervistati, dandosi un sacco di arie, rammentano i voti rimediati come per dire - in puro stile marchese del Grillo - io ero io e voi non eravate e continuate a non essere un cazzo. La stragrande maggioranza degli intervistati è costituita da fenomeni. Ce ne fosse uno capace di affermare: cari signori, gli esami di maturità sono una farsa pazzesca. Perché se un ragazzo ha completato con successo le elementari (basilari) e le medie, e ha esaurito il ciclo delle superiori, arrivando fino alla quinta, significa che il suo corso scolastico è terminato e può spalancare le porte dell'università.
Se quel ragazzo fosse un cretino o un lazzarone irrecuperabile sarebbe stato bloccato prima del traguardo, non sul filo di lana. Non fosse così, sarebbero da respingere i professori, non gli studenti. Insomma non ha senso che un giovane abbia studiato 13 anni, giungendo - più o meno a fatica - a fine corsa, e che poi debba pure sostenere un esame-burla teso a scoprire se egli sia idoneo o no a diplomarsi. Se è idoneo, il corpo insegnante deve saperlo. Se non è idoneo, c'è da domandarsi per quale motivo sia arrivato in fondo.
Basta per favore con questa pantomima. La prova di italiano uguale per tutti è un'idiozia. Un conto è il liceo classico e un conto è l'istituto per geometri. Le tracce il più delle volte fanno inorridire. Non tracciano nulla se non i limiti di un sistema che si è rinnovato nei contenitori ma non nel contenuto. Siamo ancora qui a discettare di Salvatore Quasimodo: eppure, quando il poeta ricevette il Nobel, qualcuno - non dirò chi, indovinatelo - dichiarò: a caval donato non si guarda in bocca.
Poveri maturandi. In quest'ultima tornata di balordaggini spacciate per test esplorativi sono stati chiamati a commentare una genialata di Renzo Piano, l'architetto e senatore a vita: le periferie meritano di essere manutenute come Dio comanda altrimenti vanno in vacca. Anzi, le periferie saranno le belle città di domani se opportunamente «rammendate».
Qui i soli che non meritano la maturità sono i governanti che si ostinano a spendere miliardi per finanziare un assetto scolastico privo di logica e che produce soltanto disoccupati. Il solo esame che conta è quello del lavoro. Il resto è fuffa. Spreco.
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